L’Achilleion di Elisabetta d’Austria (Storia dell’arte-Storia)

L’Achilleion di Elisabetta d’Austria

—L’Achilleion è una lussuosa villa arroccata sulla collina che si apre con saloni grandiosi, raffinati cortili, statue e affreschi ricercati. Intorno all’edificio si estende un giardino fiorito e verdeggiante, da cui si gode di una vista straordinaria sulle spiagge, sulle montagne e sulla rilassante campagna. Questo capolavoro dell’architettura fu costruito come residenza estiva dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria, la famosa Principessa Sissi. Progettato dal noto architetto italiano Raffaele Carito alla fine del XIX secolo, è ispirato alle vicende dell’eroe mitologico greco Achille.  Entrando dal portone principale, sarete accolti dal delicato soffitto affrescato che raffigura le quattro stagioni e dalla slanciata scalinata in marmo, ai cui piedi si trovano le statue di Zeus e di Era.  La residenza conserva anche la cappella, dove l’imperatrice si recava per la preghiera e per le funzioni religiose, le statue di Atena e di Ebe, un orologio ornamentale e un dipinto che raffigura il processo a Cristo. Nelle sale aperte al pubblico sono esposti quadri che rievocano le vicende mitologiche di Ulisse sull’isola dei Feaci, mentre nella sala dell’Imperatore Guglielmo II, che acquistò il palazzo dopo l’assassinio dell’imperatrice nel 1898, sono in mostra ritratti a tema nautico

Achilleion e Guglielmo II

Guglielmo II di Germania lo comprò dagli eredi dell’imperatrice, frequentandolo ogni primavera fino al 1914, e partecipando agli scavi archeologici nella zona. Durante la prima guerra mondiale fu occupato dalle truppe francesi e serbe, che ne fecero un ospedale. Alla firma del Trattato di Versailles il palazzo fu acquisito dallo Stato greco a titolo di riparazione di guerra

Il Kaiser Guglielmo II

Guglielmo II di Prussia e Germania fu l’ultimo Imperatore tedesco (Kaiser) e l’ultimo re (König) di Prussia dal 1888 al 1918. Nacque da Principe della Corona Federico e da sua moglie, la Principessa Reale britannica Vittoria. Sua madre era la zia dell’Imperatrice Alessandra (la moglie dello Zar Nicola II), e la sorella di re Edoardo VII. La Regina Vittoria del Regno Unito era sua nonna. Un traumatico parto podalico lo danneggiò fisicamente, portandolo ad avere il braccio sinistro atrofizzato, che cercò con qualche successo di nascondere. Tale approccio certamente guastò la politica tedesca sotto la sua leadership, soprattutto quando dimise il suo cauto cancelliere, Otto von Bismarck, d’altra parte gli procurò una relazione incredibilmente povera con la madre. Guglielmo venne educato al Ginnasio di Kassel e all’Università di Bonn. Alla morte di Guglielmo I, il 9 marzo 1888, suo padre venne incoronato Imperatore come Federico III, ma morì per un cancro alla gola e nel giugno dello stesso anno Guglielmo II gli succedette. Il suo regno fu contraddistinto dalla spinta militaristica tesa ad affermare il potere tedesco. Cercò di espandere i possedimenti coloniali tedeschi, “un posto al sole”. Con il Piano Tirpitz, attraverso le leggi navali del 1897 e 1900, la Marina Tedesca venne rafforzata fino a rivaleggiare con quella del Regno Unito. La sua personalità e le sue politiche oscillarono tra l’antagonizzare e il compiacere Regno Unito, Francia e Russia. Dimise Otto von Bismarck nel 1890 e abbandonò le attente politiche del cancelliere, sostituendolo con Leo Graf von Caprivi, che a sua volta fu sostituito dal principe Chlodwig zu Hohenlohe-Schillingsfurst nel 1894. Quest’ultimo venne succeduto dal principe Bernhard von Bülow nel 1900 e da Theobald von Bethmann-Hollweg nel 1909. Tutti questi cancellieri erano funzionari civili anziani e non politici come Bismarck. Guglielmo voleva impedire il sorgere di un altro Bismarck. Nonostante il suo atteggiamento è difficile dire se cercò la prima guerra mondiale, anche se fece ben poco per impedirla. Si era alleato con l’Austria-Ungheria ed incoraggiò la loro linea dura nei Balcani. Anche se perse il coraggio all’ultimo minuto era ormai troppo tardi, e ben presto si riprese per spingere i suoi generali a grandi conquiste. Durante la guerra fu Comandante in Capo ma perse rapidamente il controllo di tutta la politica tedesca e la sua popolarità precipitò. Come risultato dell’esplosione della Rivoluzione tedesca, l’abdicazione del Kaiser venne annunciata da Max von Baden il 9 novembre 1918. Guglielmo andò in esilio nei Paesi Bassi. La regina olandese Guglielmina si rifiutò di estradarlo come criminale di guerra. Guglielmo aveva sposato Augusta Vittoria, Duchessa dello Schleswig-Holstein, nel 1881. Ebbero sette figli. A seguito della morte della moglie, mentre erano in esilio, nel 1922, sposò in seconde nozze Hermine von Schoenaich, la principessa vedova Reuss. Durante gli anni ’30, aveva apparentemente riposto delle speranze nel fatto che il Partito Nazista avrebbe risollevato la monarchia, ma ciò non si verificò

 

Marino D.

Le Versailles europee (Storia dell’arte)

Il Busto di Luigi XIV del Bernini

Scolpito in ritardo nella sua carriera, grande natura di busto, con il suo drappeggio e natura regale può essere visto come una continuazione del busto che Bernini eseguito per Francesco I d’Este. Pur non essendo un comandante militare reale, Bernini concepì Louis in armatura, disegno su nozioni di eroici re come Alexander il grande. [anche se un piccolo uomo, Louis è pensato come un personaggio maestoso, grandiosità di fusione con un’eleganza ricca di spirito. Il panneggio suggerisce il movimento del vento, ma dimostra anche la capacità del re di superare tali distrazioni terrene – egli guarda alla distanza, forse come se dando un comandi militari, trasformando il suo volto contro la direzione il vento sta soffiando. Bernini inoltre abbiano esplorato concetto di Louis come il re sole nel ritratto, riguardanti i capelli del re raggi di sole e il panneggio come nuvole di passaggio. Ancora l’idealizzazione del re come un grande imperatore fu anche fondata sulla realtà. Era una caratteristica della scultura del Bernini che egli potrebbe combinare nozioni astratte come grandezza e nobiltà con precise caratteristiche individuali del personaggio

La Reggia di Versailles

La Reggia di Versailles, lo Château de Versailles, è una delle opere architettoniche più affascinanti e maestose visitabili nei dintorni di Parigi. La reggia è situata a 20 Km dalla città di Parigi, nella città Versailles della regione dell’Île-de-France. La storia della Reggia di Versailles vede per protagonista principale il sovrano francese Luigi XIV, il Re Sole, che si interessò agli ingenti lavori di ampliamento ed ammodernamento che la riguardarono durante il suo regno, a partire dal 1661, e dopo essere rimasto molto colpito, all’età di 13 anni, dal castello presente a Versailles nel 1651, edificato su commissione di suo padre Luigi XIII per dimorare durante le occasioni di caccia fuori Parigi; la struttura moderna che Luigi XIV si trovò davanti agli occhi da bambino, infatti, era ben diversa da quelle delle vecchie residenze reali nelle quali il sovrano aveva dimorato, ossia le residenze del Louvre, del Palais-Royal e delle Tuileries, che apparivano ai suoi occhi come fatiscenti, in confronto, ed anche scomode perché ubicate a Parigi, dove il re non si sentiva molto a suo agio, così vicino al suo popolo non molto amato e rumoroso, in una città da lui ritenuta sporca e scomoda, e dove egli temeva si annidassero traditori e possibili congiure

L’interno del palazzo

Il corpo centrale dello Château de Versailles contiene i Grandi Appartamenti, gli appartamenti privati e gli appartamenti della famiglia reale. All’interno della Reggia di Versailles, nelle sue ale laterali, vi è il Museo di Storia della Francia, inaugurato nel 1837, con dipinti esposti su un’area di ben 18.000 metri quadrati, collezionati ed organizzati da Luigi Filippo.
Tra le più interessanti bellezze presenti all’interno della Reggia di Versailles vi sono gli appartamenti reali ed il Salone degli specchi. Le stanze reali hanno un significato simbolico, rappresentando una analogia tra la rotazione dei pianeti intorno al sole e la figura di Luigi XIV, il Re Sole; esse infatti sono sette, hanno i nomi di pianeti, e si trovano tutte intorno alla camera del trono del re, il Salone di Apollo, mentre il Re Sole si considerava il Celeste Corpo Reale

Il Salone degli Specchi

Il Salone degli Specchi, o Galleria degli Specchi, la Galerie des Glaces in Francese, è molto interessante sia per motivi storici, essendovi stato firmato, tra l’altro, il trattato di Versailles grazie al quale si concluse la Prima Guerra Mondiale, sia perché mostrava già all’epoca, senza dubbio, la grandiosità e la ricchezza del palazzo e del suo sovrano anche con gli specchi, essendo questi, in tempi remoti, molto rari e costosi; questo salone occupa l’ala che dà sul giardino. Alzando lo sguardo verso il soffitto a cassettoni si può ammirare l’arte votata alla commemorazione delle vittorie belliche della Francia sulla Spagna e sull’Olanda

Il Grande Trianon

Il Grand Trianon, o Trianon de marbre, ossia il Grande Trianon, o Trianon di marmo, è un palazzo con giardini costruito con marmo rosa e marmo verde dove vi era il Trianon de porcelaine, il Trianon di porcellana, così denominato in quanto le sue mura erano edificate con porcellana di Delft di colore blu e bianco, che era ubicato a nord ovest del parco di Versailles. Il Grande Trianon, inaugurato nel 1688, è un eccellente esempio di edificio avente uno stile classico francese misto ad uno stile italiano, con un cromatismo tendente al rosa; il palazzo venne utilizzato da Luigi XIV come dimora secondaria a Versailles e, dopo la Rivoluzione Francese, divenne dimora di Napoleone. Nella stessa area dove sorgeva il Trianon, i cortigiani fecero costruire i loro hôtels, ossia le loro dimore, presenti in numero di 14

Il Piccolo Trianon

Il Petit Trianon, il Piccolo Trianon, è un piccolo palazzo di forma cubica costruito con elementi caratteristici di un’arte di transizione tra uno stile rococò ed uno stile neoclassico. Il Piccolo Trianon, a differenza del Grande Trianon, fu voluto da Luigi XV, figlio di Luigi XIV, per incontrarsi con la sua amante Madame de Pompadour, e fu costruito tra il 1762 e il 1768; alla morte di Madame de Pompadour il Piccolo Trianon fu occupato da un’altra amante del sovrano, Madame du Barry. Il Padiglione Francese, una piccola costruzione situata nei giardini del Piccolo Trianon, risale al 1750. Nella zona, di molto particolare ed affascinante vi è anche l’Hameau de la Reine, il Borgo della Regina, un borgo campestre molto caratteristico, con la casa della regina al centro, con vari orti e giardini, una fattoria, una stalla, un mulino, una torre ed un pittoresco lago artificiale, commissionato dalla regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena nel 1782

Il Palazzo di Schönbrunn,la Versailles viennese

Gli interni del castello non servivano solo come abitazione della famiglia imperiale, bensì furono costruiti con scopi di rappresentanza e di luogo di esposizione per le numerose feste e cerimonie, che doveva rappresentare il simbolo e rafforzare il prestigio della monarchia. A questo scopo vennero ingaggiati molti artisti famosi e rinomati artigiani, che arredassero gli spazi con l’eleganza di quei tempi. Gli stili vanno dal barocco al rococò, al Biedermeier e agli stili del periodo di sviluppo economico-industriale del II Reich, che tutto sommato formano un insieme armonico.Nel lato occidentale del 1º piano si trovano gli appartamenti risalenti al XIX secolo dell’imperatore Francesco Giuseppe e dell’imperatrice Elisabetta. Al centro vi sono le zone di rappresentanza. Nella parte orientale vi sono gli appartamenti di Maria Teresa come quelli cosiddetti di Franz Karl e dell’arciduchessa Sofia, i genitori dell’imperatore Francesco Giuseppe.Il castello ha centinaia di spazi e camere, dei quali però solo i più sontuosi e quelli delle abitazioni della famiglia imperiale sono visitabili dal pubblico. Una parte degli spazi rimanenti sono affittati al comune. Il castello perciò non è vuoto ed è abitato costantemente come una volta

Sala degli Specchi

La camera degli specchi risale agli anni di Maria Teresa, ha pareti bianche con decorazioni di stucchi dorati in stile rococò, tendoni in velluto rosso con tendine bianche. I mobili rococò sono parimenti in legno bianco-dorato e le imbottiture ricoperte di velluto rosso. Elementi particolari sono i grossi specchi di cristallo (che danno il nome alla stanza) che riflettono l’un l’altro le immagini dando l’illusione di un’ampiezza del locale maggiore di quello che è. Un camino in marmo sta nel centro della parete nord. Due grossi lampadari pendono dal soffitto.Presumibilmente ebbe luogo qui o nell’adiacente Stanza Rosa, il primo concerto del sedicenne Wolfgang Amadeus Mozart di fronte all’imperatrice Maria Teresa ed alla sua corte. Testimoni oculari affermarono che alla fine il giovane Mozart sia balzato dal pianoforte dell’imperatrice al suo grembo e l’abbia baciata, con gran diletto della medesima. La sala degli specchi fu utilizzata anche come salone da ricevimento dall’imperatore Francesco Giuseppe I e dall’imperatrice Elisabetta

Gran Galleria

La Gran Galleria è il locale centrale dell’edificio del Castello. È lunga oltre 40 metri, larga quasi dieci ed ha una superficie complessiva di circa 420 m². Essa veniva utilizzata prevalentemente per ricevimenti mondani, balli e come sala da pranzo per grandi banchetti. Il locale ha alte finestre che danno sul giardino con di fronte specchi di cristallo. Le pareti bianche sono decorate con stucchi dorati in stile rococò, il soffitto è ricoperto di grossi dipinti. Più di 60 lampade a parete dorate ornano le pareti e due pesanti lampadari illuminavano una volta il salone con le loro candele.Il soffitto è ricoperto da tre grossi dipinti, opera del pittore italiano Gregorio Guglielmi. L’affresco centrale rappresenta il benessere della monarchia sotto il regno di Maria Teresa. Circondati dalle virtù personificate della signoria, troneggiano al centro Francesco Stefano e Maria Teresa. In questo gruppo centrale sono disposte le allegorie dei Paesi della corona con i loro rispettivi Regni

Sala delle cerimonie

La Sala delle cerimonie fu utilizzata in primo luogo come anticamera degli appartamenti dell’imperatore Francesco Stefano. Qui si riunivano le famiglie imperiali per feste quali battesimi, onomastici, compleanni e per grandi pranzi di corte e per entrare nell’oratorio della Cappella del palazzo.Sei grandi dipinti sono gli elementi che caratterizzano questa sala e furono commissionati da Maria Teresa a Martin van Meytens e al suo atelier.Cinque di questi dipinti hanno per soggetto le nozze tra l’erede al trono, e poi imperatore, Giuseppe II, con Isabella di Parma nel 1760. Il matrimonio non ebbe solo un risultato mondano ma soprattutto politico, che avrebbe dovuto migliorare i rapporti fra la casa degli Asburgo e quella francese dei Borboni.Il ciclo di dipinti è ordinato cronologicamente, i singoli dipinti mostrano i punti salienti della festa di nozze. Il primo e grande dipinto rappresenta il festoso ingresso della principessa dal castello del Belvedere alla Corte. Un interminabile corteo di carrozze, vetture, cavalieri si snoda attraverso l’arco di trionfo in direzione dell’Hofburg

Castello di Sanssouci,la Versailees prussiana

Il Palazzo di Sanssouci si trova nella parte orientale dell’omonimo parco ed è uno dei più famosi castelli di Potsdam, capitale del Brandeburgo. Fra il 1745 e il 1747 Federico II il Grande, re di Prussia, fece erigere una piccola residenza estiva in stile rococò, sulla base di schizzi da lui stesso disegnati. Il progetto fu affidato all’architetto Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff Nel 1841 l’edificio fu ampliato con l’aggiunta di due ali laterali per volere di Federico Guglielmo IV, i cui abbozzi furono trasformati in progetto dall’architetto Ludwig Persius. La collocazione del palazzo di Sanssouci su una collina coltivata a vigneto riflette un ideale di armonia fra l’uomo e la natura, in un paesaggio ordinato dall’intervento umano. Il palazzo, nel mezzo della natura, con l’ampia vista sulla campagna circostante, era il luogo nel quale Federico II intendeva risiedere “senza preoccupazioni”, coltivando i suoi interessi personali e artistici. Non si trattava dunque di un edificio destinato alla corte e all’esercizio delle funzioni di governo, quanto invece di un vero e proprio rifugio privato del re e dei suoi ospiti più intimi

L’interno del palazzo

Il palazzo di Sanssouci rispecchia i canoni di una “residenza di piacere”, dai cui locali, posti al piano terra, è possibile uscire senza fatica nei giardini. Anche nella distribuzione degli spazi interni fu messa al primo posto la comodità e vennero seguiti i dettami dell’architettura di corte francese. Dal centro si dipartono due file di camere: i locali più importanti danno a sud, verso il giardino, mentre i locali destinati alla servitù sono a nord. Ciascuna camera è collegata da una porta con il retrostante alloggio di servizio. Inoltre, i locali principali sono messi in comunicazione fra loro da porte in asse e formano quindi – secondo un tipico modello barocco – un’infilata di stanze, tale per cui risulta possibile apprezzare dall’interno e con un solo sguardo l’intera estensione del palazzo. Federico II tracciò gli schizzi del suo palazzo di Sanssouci secondo queste regole dell’architettura di corte, ma tenne anche conto dei suoi personali desideri ed esigenze di comodità

La sala di marmo

La sala di marmo, al centro del palazzo, aveva la funzione di sala delle feste. Per la pianta ovale e per la cupola, con un’apertura ovale sulla sommità, l’architetto Knobelsdorff si ispirò al Pantheon di Roma. Il marmo di Carrara e della Slesia, che dà il nome a questo ambiente, si trova nelle colonne, alle pareti, nelle strombature delle finestre e negli intarsi del pavimento. Le decorazioni in stucco dorato della cupola sono opera di Carl Joseph Sartori e Johann Peter Benkert: essi divisero la volta in spicchi decorati con piccoli cassettoni, emblemi militari e medaglioni raffiguranti attributi delle arti e delle scienze. Sul cornicione, quattro gruppi di figure femminili e putti, opera di Georg Franz Ebenhech, rappresentano l’architettura civile e militare, l’astronomia e la geografia, la pittura e la scultura, la musica e la poesia. La disposizione delle otto coppie di colonne corinzie replica quella del vestibolo. Nelle nicchie accanto alla porta sono collocate le sculture scolpite nel 1748 da François Gaspard Adam: Apollo si rivolge verso Venere Urania, tenendo in mano un libro aperto; si tratta dell’opera De rerum natura del poeta latino Lucrezio

La sala da concerto

Nella sala da concerto, sulle pareti e sul soffitto di color bianco, è visibile l’esuberante ornamentazione dorata della rocaille. I dipinti e gli specchi delle pareti sono inseriti nelle decorazioni e vengono avvolti dai tipici ornamenti arcuati e circonvoluti dell’arte rococò. Le cornici in legno provengono dalla bottega dello scultore Johann Michael Hoppenhaupt. I dipinti delle pareti, realizzati nel 1747 da Antoine Pesne, raffigurano Pigmalione e Galatea, Vertumno e Pomona, Diana con le sue ninfe al bagno, Pan e Siringa, Bacco e Arianna. Due dipinti dei sopraporta, con paesaggi, antichi monumenti e rovine, sono opera di Charles Sylva Dubois, mentre un altro paesaggio e la veduta del palazzo di Sanssouci sono di Antoine Pesne. Il fortepiano di Gottfried Silbermann dell’anno 1746 e il leggio di Federico II, realizzato nel 1767 dall’intagliatore Johann Melchior Kambly, testimoniano l’uso cui era destinato questo ambiente

La galleria

Anche per la galleria che si trova a nord, dietro l’appartamento del re, Federico II si discostò dal modello previsto dall’architettura di corte francese, secondo cui in questo ambiente si sarebbero dovuti realizzare alloggi per la servitù. La parete dello stretto e lungo ambiente è suddivisa da nicchie, nelle quali sono poste sculture in marmo di divinità greco-romane provenienti dalla collezione del cardinale Melchior de Polignac. Sopra cinque divani sono appesi dipinti di Nicolas Lancret, Jean-Baptiste Joseph Pater e Antoine Watteau. Verso la parete esterna, fra gli specchi e le finestre che danno sul cortile d’onore, stanno dieci busti marmorei su piedistalli, mentre sui caminetti ai due capi della galleria si trovano i due busti di Anfitrite e di Nettuno, opera di Lambert-Sigisbert Adam

Castello di Peterhof,la Versailles russa

Funse da residenza imperiale fino alla Rivoluzione d’Ottobre, nel 1918 i palazzi divennero musei ma durante la Seconda guerra mondiale Peterhof fu occupato dai soldati nazisti dal 1941 al 1944. Tuttavia prima dell’occupazione si riuscì a sgombrare più di 8 000 oggetti dell’arredamento dei palazzi e circa 50 statue, che vennero salvate mentre il complesso fu quasi completamente distrutto da bombardamenti e combattimenti vari.Dopo la guerra incominciò la ricostruzione di Peterhof, che prosegue tuttora. Nel 1945 fu aperto il Parco inferiore, nel 1946 riaprirono le fontane, nel 1947 fu costruita una copia della scultura Sansone, nel 1952 fu iniziata la ricostruzione del Palazzo Grande, il 17 maggio 1964 vennero aperti al grande pubblico le prime sale dei musei di Peterhof, che attualmente è una delle mete più visitate da turisti, sia russi che stranieri

La sala del trono

La Sala del Trono fu realizzata inizialmente da Rastrelli in stile barocco,venne rimodernata nel 1770 in stile classico.Presenta modanature dorate ed è caratterizzata dal trono in seta rossa

La sala da ballo

La sala da ballo è un tripudio di decorazioni barocche fra cui risaltano i tondi del pittore italiano Giuseppe Valeriani e il bel parquet con grandi stelle

La sala dei dipinti

Le sue mura sono ricoperte da una serie di 368 tele che lasciano a mala pena lo spazio alle porte,in maggior parte ritratti di donne variamente vestite e di diversa età

Il Palazzo di Herrenchiemsee, la Versailles bavarese

Herrenchiemsee è stato costruito da re Ludwig II a partire dal 21 maggio 1878 in una posizione splendida: il castello sorge infatti in un’isola del lago Chiemsee, la Herreninsel, ed è raggiungibile con un traghetto che parte dal paese di Prien. La Herreninsel, l’Isola degli uomini, è così chiamata perché ospitava un convento dei Canonici Agostiniani e si contrappone alla vicina Fraueninsel, l’Isola delle donne, che ospita tuttora una comunità di Monache Benedettine. La facciata è una copia esatta di quella di Versailles: Herrenchiemsee si presenta come un inno alla potenza ed alla gloria del Re Sole, Luigi XIV di Francia, e Ludwig, da sempre profondo ammiratore di questa mitica figura storica, decise di erigere un castello che fosse l’esatta copia dell’originale francese

La camera da letto

Nel cerimoniale di corte la camera da letto di parata era il luogo dell’udienza serale e del mattino: non una semplice camera per dormire e riposare ma addirittura il centro focale del castello. Quella di Herrenchiemsee è qualcosa di straordinario: stucchi, arredi e tessuti sono di una ricchezza che è difficile descrivere a parole

La sala degli specchi

La galleria degli specchi, con i suoi 98 metri di lunghezza (quella di Versailles si ferma a 73 metri), 52 candelabri e 33 lampadari, è il gioiello del castello; qualche critico d’arte la ritiene superiore all’originale

 

Marino D.

La Galleria Farnese (Storia dell’arte)

La volta

Nel 1597 Annibale iniziò, con l’assistenza di suo fratello Agostino Carracci, la decorazione della volta, che è la prima sezione della Galleria Farnese ad essere stata affrescata.In un primo momento, pensò di fare ricorso ad uno schema a fregio, modalità decorativa tipicamente bolognese, ma ben presto comprese che era necessario considerare anche ad altri schemi decorativi ed il risultato finale fu un’originale combinazione di tre sistemi diversi: quello del fregio, quello architettonico e quello a quadri riportati.Il tema della decorazione della volta della Galleria Farnese è “Gli amori degli dèi” e le singole scene raffigurate si basano in buona parte sulle “Metamorfosi” di Ovidio

Il Trionfo di Bacco ed Arianna

Il Trionfo di Bacco e Arianna rappresenta un corteo nuziale, con i due sposi, Bacco e la mortale Arianna, seduti su due carri, uno dei quali è dorato e trainato da due tigri, l’altro argentato trainato da due arieti.I carri avanzano accompagnati da figure danzanti (eroti, menadi, satiri, Pan, Sileno), che recano strumenti musicali, stoviglie e ceste con le cibarie, secondo la tipica iconografia della celebrazione dionisiaca.Diversamente da molte altre scene della Galleria il Trionfo è inquadrato da una finta cornice architettonica che simula lo sfondamento del soffitto verso lo spazio esterno inondato di luce. Nella scena centrale del soffitto si realizzerebbe la sintesi dell’antagonismo tra amore sensuale e amore spirituale che sarebbe il tema di tutta la Galleria Farnese

Pan e Diana

Il tema di questo quadro riportato è tratto dalle Georgiche di Virgilio (Libro III, 391-392), dove si narra di come la casta dea Diana sia stata sedotta da Pan con l’offerta di bianchissime lane.La vicenda narrata è variamente interpretabile. Vi si può scorgere un riferimento alla volubilità delle cose dell’amore (un dono modesto che può sedurre anche la più casta delle dee) oppure cogliervi un’allusione ai doni d’amore anche in chiave nuziale, nell’ipotesi che gli affreschi della volta siano interpretabili come la celebrazione del matrimonio di Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini

Mercurio e Paride

Mentre Paride è seduto sotto un albero in compagnia del suo cane, piomba dall’alto Mercurio che gli consegna il pomo d’oro che l’eroe troiano utilizzerà nel celebre giudizio che da lui prende il nome e dal quale scaturirà la guerra di Troia.Questa figura cita il raffaellesco Mercurio della Loggia di Psiche: non sembra casuale, infatti, che Annibale, come nel precedente della Farnesina, abbia messo in mano al messaggero degli dèi una tromba e non il consueto caduceo

Polifemo e Galatea

La storia narrata è tratta dalle Metamorfosi (Libro XIII, 777-788 e 839): il brutale ciclope Polifemo si è innamorato della nereide Galatea e le dedica un canto appassionato in cui le offre tutto il suo amore e tutta la sua ricchezza se ella accetterà di unirsi a lui e al tempo stesso le manifesta la sua sofferenza per i rifiuti opposti dalla ninfa («Galatea, più cattiva di un giovenco non domato») e la sua ira per il rivale Aci (che Galatea ama)

Polifemo e Aci

La scena, sul lato Nord, è il pendant di quella sul lato opposto con Polifemo e Galatea e ne costituisce il completamento. Nelle Metamorfosi di Ovidio infatti,  Polifemo, concluso il suo canto per l’amata, si imbatte in Galatea ed Aci che amoreggiano. Il gigante è colto dall’ira e procuratosi un masso lo scaglia verso i due che intanto si sono dati alla fuga. Mentre la nereide riesce a trarsi in salvo tuffandosi in mare, Aci è colpito dalla roccia e muore. La pietà degli dèi trasforma l’amante di Galatea in una divinità fluviale

Giove e Giunone

Il riquadro con Giove e Giunone è tratto dall’Iliade (Libro XIV, 314-316 e 328) e raffigura il momento in cui Giunone cerca di distrarre Giove, seducendolo, dalle sorti della guerra di Troia: mentre Giunone, infatti, parteggia per i greci, il re degli dèi non vuole che nessuna divinità intervenga per favorire l’una o l’altra fazione.Giunone per riuscire nell’impresa si è impossessata, con un inganno, del cinto magico di Venere (nell’affresco lo cinge appena sotto il seno), indumento capace di fornire a colei che lo indossa una forza seduttiva cui nessuno può resistere

Diana e Endimione

Nelle versioni più antiche del mito di Endimione, questi è amato da Selene. È Selene che addormenta eternamente il giovane e bellissimo pastore per amarlo mentre egli dorme. La figura di Selene venne progressivamente confusa con quella di Diana, divinità anch’essa legata alla luna, che la sostituì anche nella storia di Endimione.Nell’abbracciare delicatamente il dormiente Endimione Diana, ad un tempo, esprime il trasporto per il giovane ma anche l’accortezza di non svegliarlo

Ercole e Iole

La scena mostra Ercole in attitudini femminili mentre Iole indossa la pelle del leone di Nemea e impugna la clava (tipici attributi di Ercole).Più che dalla mitologia classica, Annibale ha derivato questa raffigurazione dalla Gerusalemme liberata del Tasso ed in particolare dal passo in cui (Canto XVI, 3) sono descritti i mirabili rilievi che istoriano il palazzo di Armida tra i quali la scena di Ercole e Iole che invertono i rispettivi ruoli.L’intuibile significato della scena è che la malìa d’amore può devirilizzare anche i più forti e ferini petti e farli schiavi. Eros, infatti, che vediamo affacciarsi da un loggiato, se la ride soddisfatto: «Amor se l’guarda e ride»

 

Marino D.

L’età del Barocco (Storia-Letteratura italiana-Storia dell’arte)

 

Contesto storico

L’Europa aveva perso la sua unità religiosa in seguito alla riforma Luterana, ad opera del prete agostiniano Martin Lutero, che metteva in discussione la Chiesa per la sua corruzione interna, manifestatasi perfino nella vendita delle indulgenze. Sia in Inghilterra che in Germania la Chiesa deteneva grandi possedimenti ed elevati interessi economici di cui i principi locali volevano riappropriarsi. La protesta di Lutero è dunque sostenuta coloro videro in essa l’occasione per rivendicare autonomia da Roma. Le 95 tesi luterane affisse alla cattedrale di Wittemberg, segnano il punto di rottura, tracciano la differenza tra protestanti e Chiesa cattolica. Il punto principale è il libero esame, ciascun fedele può interpretare i testi sacri senza intercessione della chiesa. La Chiesa, per reazione lo scomunica, ma lui brucia la bolla papale. La conclusione di questo periodo si ha con la Pace di Augusta con la quale l’imperatore sancisce il diritto di ogni principe a professare la religione che preferisce i suoi sudditi dovranno seguire la sua religione. Così la Germania si separa dalla Chiesa di Roma e diventa protestante, l’Austria resta cattolica, la Svizzera con Calvino è protestante, l’Inghilterra è protestante con Enrico IV, re che per potersi sposare con Anna Bolena voleva il divorzio, e per poterlo ottenere emette il diritto di supremazia, con il quale pone il re al di sopra della chiesa inglese.
Per reazione la Chiesa di Roma, attuò la controriforma , che comprendeva una serie di azioni volte ad evitare che tutta l’Europa diventasse protestante, A Trento si riunisce il concilio per riaffermare i principi del cattolicesimo: l’obbligo dei sacramenti, i dogmi di fede, etc

La nascita della scienza moderna

Nel corso del XVII secolo nasce la scienza moderna ,che porta con sé non solo una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire l’universo ,ma anche un profondo ripensamento dei fini e dei metodi stessi della conoscenza . I risultati della nuova scienza erano stati preparati nel corso dei secoli precedenti dallo spirito critico dell’Umanesimo , ma solo nel XVII secolo il pensiero scientifico sviluppa caratteristiche nuove che noi riconosciamo fondamentale:il rigore deduttivo delle indagini e la verifica sperimentale delle ipotesi.Il modello aristotelico-tolemaico era stato per secoli alla base del pensiero occidentale.Questa visone entra in crisi già alla metà del Cinquecento grazie all’opera dell’astronomo polacco Copernico,che per primo concepisce la teoria eliocentrica.Il tedesco Keplero dimostra che i pianeti percorrono a velocità variabile orbite ellittiche intorno al Sole.Galileo Galieli giunge a dimostrare l’infondatezza del sistema geocentrico

Una scienza autonoma e laica

La nuova scienza costituisce di fatto una nuova forma di sapere.Si apre in quest’epoca il contrasto tra verità sperimentali e verità di fede,destinato ad aprire un solco profondo tra la scienza e la Chiesa ,di cui l’abiura di Galilei nel 1633 è il segno storico tangibile.Nelle Lettere copernicane lo scienziato pisano rivendica alla scienza il diritto e il dovere di compiere le indagini nel mondo naturale,certo del fatto che verità scientifiche e verità teologiche. Si tratta di una forma di indagine del mondo sensibile condotta con un metodo laico ed empirico,che coniuga le abilità tecniche con le conoscenze matematiche

La sensibilità barocca

Nelle sue molteplici manifestazioni ,la sensibilità barocca è caratterizzata dal gusto della novità,delle soluzioni insolite e bizzarre,volte a stupire attraverso forme spettacolari . Di fronte a una realtà nuova l’uomo del Seicento si scopre spettatore di un mondo frammentario e relativo .Tutta la sensibilità barocca nasce dall’ambiguità della reazione a questi profondi sconvolgimenti,che suscitano da un lato entusiasmo e ammirazione . L’immaginario barocco è contrassegnato da un radicale mutamento delle coordinate spazio – temporali . Alla visione tradizionale di un universo ordinato e chiuso si sostituisce la percezione di un cosmo potenzialmente infinito . Anche il tempo si dilata e si allunga .La scoperta di culture nuove e lontane con una storia spesso antichissima mette in crisi la cronologia del tempo . All’idea dell’instabilità del reale si accompagna un senso acuto della precarietà dell’esistenza umana ,mentre nell’arte si moltiplicano i richiami allo scorrere del tempo,spesso associata all’idea della morte

Realtà ed illusione

Al sereno antropocentrismo rinascimentale subentra la percezione di una realtà sfuggente che si presta a molteplici interpretazioni .La presa di coscienza della molteplicità e inafferrabilità del reale porta a un continuo intreccio tra realtà e finzione,tra realtà e apparenza . Poiché la realtà è diversa da come appare ,tra il mondo e quello fittizio si stabiliscono rapporti ambigui,di scambio ed incertezza . La nuova sensibilità barocca tende a privilegiare il particolare rispetto alla visione unitaria e l’irregolarità rispetto alle visioni armoniche ed equilibrate . Il fascino degli oggetti insoliti e bizzarri i esprime anche nell’abbigliamento del tempo . Il desiderio di stupire si spinge fino a privilegiare il brutto,il grottesco e il deforme

La letteratura barocca

Il Barocco è un ampio movimento culturale,artistico e letterario di portata europea che caratterizzata il XVII secolo.Esso si incentra sulla ricerca della novità e sullo sperimentalismo formale ,elaborando una poetica anticlassicista finalizza a suscitare diletto,meraviglia e stupore nel pubblico . La letteratura barocca caratterizza tutto il XVII secolo;il rovesciamento dei canoni di equilibrio e armonia rinascimentali è del resto preannunziato dal Manierismo periodo in cui gli artisti esasperano lo stile e i caratteri dei modelli classici,iniziano ad avvertire l’esigenza di nuove e più elaborate espressive

La poetica barocca

La produzione letteraria si fonda su una concezione profondamente innovativa dell’arte ,della sua funzione e dei suoi scopi.

In aperta rottura rispetto al passato,gli autori barocchi eleborano una poetica anticlassicistica,secondo la quale l’arte non è più intesa come imitazione della natura ma come sua libera ri-creazione.

Vengono abbandonati i principi di equilibrio e armonia a favore della ricerca del nuovo e dell’insolito.

Scopo dell’arte è il diletto,ossia il piacere procurato al lettore,che deve essere sollecitato attraverso la meraviglia.

Particolare enfasi viene dedicata all’ostentazione dell’abilità formale,in cui si esprimono appieno l’abilità dell’artista e il suo ingegno.

L’arguzia e l’acutezza dell’artista si esprimono nell’uso esasperato degli artifici retorici,tra cui ha grande rilievo la metafora

I temi

In un produzione come quella barocca le tematiche appaiono in una certa misure secondarie e tendono spesso a fornire un semplice spunto per l’estro compositivo del poeta . Rispetto alla tradizione si registra un significativo ampliamento della materia letteraria, con aperture verso situazioni insolite . Nella varietà due temi si possono registrare due atteggiamenti paralleli e contemporanei:da un lato testi che esprimono entusiasmo per le novità e un senso gioioso della vita,con abbandono edonistico alle meraviglie del mondo;dall’altro opere che insistono su tematiche più cupe e angosciate come la morte o lo scorrere del tempo

La lirica barocca

La lirica è uno dei generi letterari in cui il Barocco ha proposto il maggior numero di innovazioni sperimentando nuove forme espressive all’interno della tradizione . Alla base della poesia barocca vi sono due esigenze . C’è il desiderio di rispondere ai mutamento culturale e sociali in atto nel Seicento:in primo luogo la sensazione di ampliamento dei confini reali e immaginari causata dalle scoperte scientifiche e geografiche . L’altra esigenza è il bisogno di rompere con gli schemi poetici tradizionali ed in particolare con il petrarchismo . I poeti barocchi reagiscono innovando proprio su questi due piani:temi e lingua . I margini di ciò che può essere trasformato in poesia si dilatano e in particolare animali,oggetti quotidiani e piante strane

L’innovazione linguistica

Nei confronti della lingua i poeti barocchi assumono un atteggiamento di ossequio a lessico tradizionale . Non rifiutano le parole che sono entrate a far parte della poesia ufficiale perché la loro poesia è destinata ad un pubblico dotto . Costante è il ricorso a figure retoriche che collegano fenomeni apparentemente diversi o accostano gli opposti . Esse creano una dimensione linguistica immaginaria in cui si può scrivere “serpi” per dire “lampi”

Giambattista Marino

Marino nacque a Napoli, che a quei tempi era sotto il dominio spagnolo, nel 1569. Fu avviato dal padre agli studi legali, ma li abbandonò per dedicarsi alle lettere. Finì due volte in carcere e, poco più che trentenne, si recò prima a Roma, poi a Ravenna ed infine a Torino, alla corte dei Savoia. Anche qui dovette fare i conti con la giustizia e riuscì addirittura a sfuggire ad un attentato tesogli da un letterato da lui offeso. Fuggì anche in Francia dove conobbe Luigi XIII a cui dedicò il suo famoso poema l’Adone. Nel 1623 tornò in Italia per sfoggiare gli allori francesi e per godersi le ricchezze accumulate negli anni. Morì nel 1625 proprio nella sua città natale, dopo una vita carica di piacere, onori, denaro e avventure. Il percorso letterario

Il rapporto con la tradizione

Tratto distintivo dell’opera di Marino è il rifiuto dei principi estetici di misura,proporzione e verosimile che hanno governato il classicismo cinquecentesco . La poesia tradizionale è saccheggiata alla ricerca di forme poetiche e contenuti eterogenei che vengono contaminati per creare effetto di novità . Elemento chiave della poetica di Marino è il “leggere col rampino”;l’espressione precisa il modo di comporre del poeta,che dalle opere della tradizione trae ciò che più lo colpisce o gli piace in modo da costruire un serbatoio di frasi,luoghi letterari

L’arte barocca

L’arte di questo periodo, nata come risposta al protestantesimo, assunse un ruolo di grande importanza per la diffusione al popolo delle idee controriformiste e venne usata come mezzo per ricondurre il popolo alla dottrina cattolica.
L’arte barocca aveva il compito di toccare direttamente l’animo e i sentimenti della gente e per far questo era necessario che essa assumesse forme grandiose e monumentali.
Il gusto barocco si diffuse però non solo nei paesi cattolici, ma le sue caratteristiche si ritrovano anche nei paesi protestanti.
Caratterizzano lo stile barocco la ricerca del movimento, dell’energia, accentuando l’effetto drammatico delle opere attraverso i forti contrasti di luce e ombra sia delle sculture che delle pitture

La pittura barocca

Palazzi e soprattutto le chiese furono decorati da immensi e grandiosi affreschi, che si avvicinano alla realtà grazie alla rappresentazione assolutamente naturale dei personaggi. Questo conferisce alle scene sacre rappresentate un carattere di credibilità che avvicinava i fedeli.
Grande importanza fu data alla decorazione dei soffitti, i pittori barocchi, grazie alla maestria nell’uso della prospettiva riuscivano ad ampliare gli spazi architettonici creando spazi irreali che univano il cielo e la terra, per esempio il soffitto della chiesa di Sant’Ignazio a Roma dipinto da Andrea Pozzo nel quale figure reali ondeggiano nell’aria in sospensione tra cielo e terra creando un’effetto trompe d’oeil.
Due erano le correnti artistiche che si andavano sviluppando nel seicento: quella naturalistica con Caravaggio e quella classicista proposta dalla scuola dei Carracci.
Caravaggio introdusse nei suoi dipinti la realtà di tutti i giorni; anche quando dipingeva soggetti religiosi, egli cercava la verità rappresentando le figure di Cristo, della Madonna, degli apostoli, utilizzando come modello persone comuni, come quelle che si potevano incontrare a quel tempo per le strade, facendole emergere da una luce particolare. La scuola che si sviluppò intorno ai Carracci invece cerca di tornare ai principi di chiarezza, monumentalità ed equilibrio tipici del Rinascimento.
Dei tre Carracci, Ludovico, Agostino e Annibale, fu quest’ultimo ad avere maggiore successo. Questo stile classicheggiante venne adottato da artisti come Guido Reni e Domenichino

L’Accademia degli Incamminati

L’esperienza seicentesca dei Carracci assume pertanto un rilievo nuovo nella storia dell’arte italiana ed europea.
Intorno al 1585 i pittori bolognesi Ludovico Carracci, il cugino Agostino e il fratello di questi Annibale si riuniscono per fondare quella che potremmo definire la prima scuola privata di pittura dell’età moderna.
Essa fu inizialmente chiamata Accademia del Naturale in quanto la sua finalità principale era quella di stimolare negli allievi la riproduzione dal vero (in aperta polemica con certe esagerazioni formali a cui si era giunti in epoca tardo-manierista).
In seguito venne anche detta Accademia dei Desiderosi, per il desiderio ad imparare che dovrebbe essere insito in ciascun artista, e infine Accademia degli Incamminati, allo scopo di sottolineare l’impegno di maturazione artistica a cui ogni allievo era chiamato.
I tre Carracci sono bolognesi di nascita, ma la loro formazione è abbastanza ecclettica:
– tradizione classicistica di Raffaello e Michelangelo
– tradizione veneziana del colore

Biografia di Annibale Carracci

Figlio di Antonio e fratello minore del pittore Agostino, si formò presso bottega del cugino Ludovico, insieme al quale fondò nel 1582 l’Accademia dei Desiderosi (chiamata in seguito Accademia degli Incamminati), in cui imparò a coniugare l’attenzione al disegno tipico della scuola fiorentina con il gusto per il colore proprio di quella veneziana. Nel 1584 lavora con il fratello e il cugino al ciclo di affreschi dedicati alla vita di Giasone nel Palazzo Ghisilardi Fava a Bologna, mentre l’anno successivo dipinge un Battesimo di Cristo per la chiesa di San Gregorio, sempre a Bologna. È la fase in cui l’influenza di Coraggio si fa sentire maggiormente, permeando di sé l’intera scuola pittorica bolognese; ne sono testimonianza i due Compianti sul Cristo Morto e l’Assunzione per la chiesa di San Rocco a Reggio Emilia (oggi a Dresda), del 1587. Tra il 1587 e il 1588 visita Parma e Venezia e, tornato a Bologna, completa insieme agli altri due Carracci due importanti cicli di affreschi: quello raffigurante la Fondazione di Roma per il Palazzo Magnani (1589 – 1592) e quello con le Storie di Ercole per il Palazzo Sampieri, sempre a Bologna (1593 – 1594). La fama di tali affreschi monumentali valse ad Annibale l’invito del cardinale Odoardo Farnese per la decorazione del piano nobile di Palazzo Farnese a Roma. Giunto a Roma con Agostino nel 1595, egli vi realizza i celebri affreschi raffiguranti Gli amori degli Dei, a cui collaborarono anche Domenichino e Lanfranco. Capolavoro assoluto della pittura ad affresco del tempo, il ciclo di Palazzo Farnese fu per molto tempo considerato il contraltare classicista rispetto all’insorgere dello stile esasperatamente realistico dei Caravaggisti

Galleria Farnese

La Galleria Farnese è una loggia coperta situata sul lato del Palazzo che dà verso Via Giulia e il Tevere e fu realizzata da Giacomo Della Porta su progetto del Vignola.Si tratta di un ambiente piuttosto stretto (all’incirca sei metri) e lungo (poco più di venti metri). La sala prende luce solo da uno dei lati lunghi (quello che si affaccia su Via Giulia) in cui sono aperte tre finestre e culmina in una volta a botte sorretta da una serie di lesene.Su entrambi i lati lunghi sono aperte delle nicchie in cui erano situate alcune delle celebri statue antiche di proprietà dei Farnese

Biografia di Caravaggio

Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, nasce a Milano nel 1571. Si forma presso la bottega del pittore Simone Peterzano nella città di Milano dove recepisce i modi di due tradizioni diverse: da un lato il realismo lombardo, dall’altro il rinascimento veneto, con il quale viene in contatto quando Peterzano lo porta con se in alcuni viaggi a Venezia, dove conosce l’arte del Tintoretto.
A vent’anni si trasferisce a Roma, prima presso Lorenzo Siciliano, di seguito presso Antiveduto Gramatica, poi presso il Cavalier d’Arpino.
Costui gli affida l’esecuzione di quadri di genere, rappresentanti fiori o frutta, genere disprezzato dagli accademici del tempo perchè ritenuti soggetti inferiori rispetto a dipinti in cui venivano rappresentate figure umane. Egli inventa un suo particolare repertorio dipingendo giovani presi dalla strada, messi in posa, accompagnati da cesti di frutta, calici e oggetti di vetro

Canestro di frutta

Si tratta di un olio su tela di piccole dimensioni dove il soggetto,una natura morta con una semplice canestra di frutti rappresenta un pretesto mediante il quale Caravaggio si pone in condizione di osservare la realtà . Nonostante l’apparente e disadorna semplicità dell’insieme,la composizione è studia in ogni sua parte . Per prima cosa fa sorgere leggermente la base della canestra al di qua del punto sul quale è poggiata . In secondo luogo allontana la percezione dello sfondo,di colore neutro,inondandolo di una luce calda e diffusa . Particolare attenzione è data dagli elementi che costituiscono la natura morta.Il preciso desiderio di rappresentare una realtà oggettiva costituisce una delle caratteristiche più originali dell’arte caravaggesca che diventa metafora del suo modo di osservare la realtà

Testa di Medusa

Si tratta di un olio su tela a sua volta incollato sopra uno scudo di legno di forma convessa . Esso rappresenta con sconvolgente realismo la testa mozzata e sanguinante della gorgone Medusa,con l’intrico di serpenti aggrovigliati . L’espressione della mostruosa creatura con il sangue che le sgorga copioso dal collo . La bocca è spalancata e gli occhi roteano atterriti,come se potessero ancora conservare il palpito della vita

Vocazione di San Matteo

La scena è ambientata in un locale oscuro e disadorno . All’estrema destra della tela vi sono Cristo che tende risolutamente il braccio verso il futuro apostolo e San Pietro che lo accompagna . Matteo è colto nel momento in cui reagisce con un gesto naturale e istintivo accanando interrogativamente a se stesso . Dei cinque personaggi al tavolo solo Matteo e i due giovani di destra si accorgono della presenza di Cristo,mentre il vecchio in piedi con gli occhiali e l’altro giovane sono troppo intenti col denaro per rendersi conto di ciò che sta avvenendo . La vera protagonista è la luce che immagina di provenire da una porta che dà sull’eterno . Si tratta di una luce giallastra che squarcia la penombra del locale mettendone impietosamente in evidenzia la povertà e lo squallore,simili a quelle delle taverne romane.Si tratta anche di una luce ideale ,la luce della grazia divina che la indirizza sugli altri personaggi

Conversione di San Paolo

La tradizione artistica successiva ha immaginato la caduta a terra come una caduta da cavallo ma il particolare è assente da tutti e tre i resoconti, sebbene rimanga possibile e verosimile poiché l’evento si verificò durante il viaggio. Dopo questa folgorazione-rivelazione-chiamata Paolo si recò a Damasco e ricevette il battesimo da un giudeo-cristiano di nome Anania, riacquistando la vista ,Secondo il testo biblico fu tramite Anania che Gesù risorto comunicò a Paolo il mandato missionario ai gentili che caratterizzerà il suo ministero successivo.Gli accenni generici alla conversione contenuti in alcune lettere paoline non descrivono esplicitamente l’evento come in Atti ma si riferiscono genericamente a una maturazione ed evoluzione interiore di Paolo.Anche in questi passi non è usato il termine “conversione” ma i generici chiamata, scelta, conquista-cattura.L’interpretazione storica dell’evento da parte degli studiosi contemporanei è diversificata: mentre gli studiosi cristiani ammettono – tendenzialmente – il valore storico della triplice narrazione di Atti, per gli studiosi non credenti il carattere soprannaturale e miracolistico di essa, che ha come protagonista Gesù risorto, li porta a negare valore storico alla descrizione, accettando comunque la conversione al cristianesimo come testimoniata anche dalle lettere. In questo caso la descrizione dell’evento viene considerata un prodotto narrativo di Luca.Una teoria sostiene che l’evento descritto nella Bibbia, compresi gli effetti fisici sugli occhi di Saulo, corrisponde perfettamente alla visione di una grossa meteora

Biografia Gian Lorenzo Bernini

Gian Lorenzo Bernini nacque a Napoli il 7 Dicembre del 1598, ma si formò artisticamente a Roma, dove si trasferì con la famiglia nel 1605 e vi soggiornò sino alla morte, avvenuta il 28 Novembre del 1680. Il Bernini fu principalmente uno scultore, ma non solo, proprio come gli altri artisti rinascimentali, era multidisciplinare, lavorò molto come architetto, pittore, scenografo, commediografo e disegnatore .La sua carriera si svolse interamente all’interno della corte papale, della quale divenne il principale esponente artistico, poiché la chiesa che all’epoca si trovava in enormi difficoltà, lo incaricò per incrementarne la grandezza, così il Bernini realizzò numerose fontane (la fontana a Piazza Navona) e il baldacchino di bronzo, legno e marmo nella Basilica di San Pietro

Ratto di Proserpina

Il “Ratto di Proserpina” Bernini, nonostante la giovane età dello scultore, si propone come un’opera pienamente barocca, pomposa e dinamica, senza che venga tralasciato alcun dettaglio: basti notare la presenza di Cerbero sotto le due figure, che con le sue tre teste si assicura che nessuno possa interferire nel rapimento.A rendere straordinario questo  gruppo scultoreo (che è uno delle Bernini sculture più importanti) sono proprio i dettagli: oltre ai movimenti, basti guardare il volto di Proserpina, solcato da una lacrima che accentua la disperazione di quest’ultima, mentre cerca in tutti i modi di fuggire; dall’altra parte, Plutone, con tutta la sua forza, affonda letteralmente le mani nella carne della donna per catturarla.Differentemente dalla sua produzione futura, in questo Bernini ratto di Proserpina, non ha imposto un vero e proprio punto di vista privilegiato per ammirare la scultura, bensì tutto il gruppo è visionabile da tutte le direzioni, permettendo di ammirarne tutti i dettagli.L’eccezionale realismo ed i particolari che compongono questa scultura, dimostrano l’eccezionale abilità del Bernini, il quale con il passare degli anni avrebbe affinato maggiormente il proprio stile, confermandosi come uno degli scultori più grandi di tutti i tempi

Apollo e Dafne

In esso l’artista rappresenta con insuperata maestria il momento in cui Apollo,il dio greco della musica e delle profezie,sta per raggiungere dopo un lungo inseguimento la bellissima Dafne di cui si era innamorato . La sventurata Dafne chiede e ottiene dal proprio padre Peneo di essere tramutata in una pianta di alloro . Anche in questo gruppo Bernini riesce a conferire alle due figure un senso di concitazione e movimento prima d allora sconosciuto alla tradizione scultorea . La gamba sinistra di Apollo appare sollevata dal suolo,mentre il braccio destro spinto all’indietro equilibra lo slancio della corsa . Il corpo nudo di Dafne si inarca in avanti in ultimo anelito di libertà . La sfortunata ninfa urla disperata e, mentre Apollo sta già ghermendola con la mano sinistra ,i capelli e le mani iniziano a trasformarsi in alloro

L’estasi di Santa Teresa

La cappella risulta completamente rivestita di marmi pregiati e colorati. All’intero della nicchia notiamo la Santa in atteggiamento di rapimento dei sensi. È raffigurata su di una nuvola, un masso scolpito ad arte, posto in modo più arretrato e nella semi-oscurità, tanto da apparire come realmente sospeso in aria.Ma l’elemento che maggiormente colpisce, e di cui il Bernini è maestro insuperabile, è l’uso che fa della luce, vera protagonista della scena. Riesce in questo ricavando sopra l’abside, posto dietro la statua, una finestrella perfettamente nascosta all’osservatore. Da questa finestra entra un fascio di luce gialla, che va ad illuminare direttamente il gruppo scultoreo. Difatti vediamo la santa con le vesti scomposte, abbandonata, quasi come fosse stata colta da uno svenimento. Il capo è inclinato, rovesciato all’indietro, la bocca è semi-aperta. Accanto a lei un angelo che la trafigge con una freccia. Quest’ultimo è rappresentato come un putto dell’antichità. Proprio dall’angelo si evidenziano i contrasti dell’opera tutta. Da un lato la morbidezza e delicatezza dell’incarnato dell’Angelo, dall’altro invece la santa dalle vesti scompigliate dal vento

La Fontana dei fiumi

Le statue in marmo bianco che compongono la fontana hanno una dimensione maggiore di quella reale. I nudi rappresentano le allegorie dei quattro principali fiumi della Terra, uno per ciascuno dei continenti allora conosciuti, che nell’opera sono rappresentati come dei giganti in marmo che siedono appoggiati sullo scoglio centrale in travertino : il Nilo , il Gange , il Danubio e il Rio de la Plata . Il disegno dei quattro colossi nudi che fungono da allegorie dei fiumi risalgono all’antico. I giganti del Bernini si muovono in gesti pieni di vita e con un’incontenibile esuberanza espressiva. Sull’antico, però, prevale l’invenzione del capriccioso. Così il Danubio indica uno dei due stemmi dei Pamphili presenti sul monumento come a rappresentare l’autorità religiosa del pontefice sul mondo intero, il Nilo si copre il volto con un panneggio, facendo riferimento all’oscurità delle sue sorgenti, rimaste ignote fino alla fine del XIX secolo, il Rio della Plata possiede un sacco traboccante di monete d’argento, che simboleggiano il colore argenteo delle acque, e infine il Gange regge un lungo remo che suggerisce la navigabilità del fiume. Lo scultore ricerca uno studio più attento dei movimenti e delle espressioni, che l’artista varia al massimo

Baldacchino di San Pietro

Le caratteristiche colonne tortili, alte 11 metri, sono composte di tre rocchi ciascuna, a cui si aggiungono i capitelli compositi e gli alti basamenti in pietra, su cui sono raffigurate le fasi di un parto tramite le espressioni di un volto femminile all’interno dello stemma papale di Papa Urbano VIII Barberini. Le colonne sono congiunte alla trabeazione attraverso quattro dadi di matrice brunelleschiana, che conferiscono al monumentale baldacchino un aspetto più slanciato, ispirando un senso di grande leggerezza. Sono inoltre tortili, ad imitazione e richiamo della pergula della vecchia basilica di San Pietro, a loro volta ispirate al Tempio di Salomone. Sono attraversate da elementi naturalistici bronzei come tralci di lauro , lucertole ed api, che fanno parte dello stemma della famiglia papale e che si trovano anche nei basamenti marmorei. Questi quattro pilastri sono collegati da una trabeazione concava tipica del Barocco. L’elica scultorea formata dalle colonne tortili suggerisce un movimento ascendente che va dal basso verso l’alto in direzione della cupola di Michelangelo. Per la parte superiore fu adottata la struttura a dorso di delfino, al fine di alleggerirne l’aspetto, e si aggiunsero statue di angeli e putti che reggono festoni, mentre i drappi sotto la trabeazione sono in movimento come mossi dal vento

 

Marino D.

 

La tematica del ritratto nella letteratura e nella storia dell’arte (Letteratura latina-Letteratura italiana-Storia dell’arte)

La ritrattistica nella letteratura

Le monografie sallustiane testimoniano la fortuna conosciuta già in epoca antica dal ritratto in ambito letterario

Capitolo 5 del De Catilinae Coniuratione di Sallustio:Il ritratto di Catilina

Nell’opera De Catilinae coniuratione, subito dopo il Proemio, Sallustio traccia il primo ritratto di Catilina, sia fisico descrivendone l’indole, sia morale delineando i suoi costumi, per poi passare ad analizzare le cause che lo hanno spinto a tramare un complotto contro lo Stato Romano. L’intento dell’autore è palesemente moralistico: Catilina, viene dipinto con tratti foschi in quanto degno figlio della corruzione dei costumi che dominava la società romana dell’epoca. La figura di Catilina appare ambigua e duplice. Questa  ambivalenza emerge dai continui accostamenti di virtù e vizi da cui emerge la personalità di un grande uomo, dalla grande forza e nello stesso tempo di un uomo instabile, vittima della sete di potere e delle passioni.  La descrizione è chiaramente sbilanciata sul versante negativo: Catilina è dominato dai suoi vizi e ciò sminuisce il valore delle sue virtù

Capitolo 6 del Bellum Iugurthinum di Sallustio:Il ritratto di Giugurta

L’autore inserisce allora nel capitolo sesto della sua opera una icastica descrizione di questo personaggio: si tratta di un ritratto molto positivo, in cui si sottolineano, secondo i precetti della fisiognomica antica, le doti fisiche e morali del ragazzo, che non si abbandona all’indolenza e al lusso, ma si dedica a una vita attiva, senza mai vantarsi dei suoi successi, tanto da divenire molto popolare tra i Numidi. Sallustio insiste sugli aspetti positivi della personalità di Giugurta per due ragioni: da un lato, la vita intraprendente del rampollo di Numidia si contrappone a quella dei rappresentanti dell’aristocrazia romana, che sono invece pigri, inerti e dediti solo ai futili piaceri del corpo; dall’altro mostrare le qualità positive di Giugurta permetterà di mettere poi in luce, nel corso dell’opera, la trasformazione del personaggio in senso negativo, anche a causa del contatto con i costumi corrotti e immorali dei Romani

Ritratto di Guido Cavalcanti di Giovanni Boccaccio,giornata VI,novella 9

In questa novella Boccaccio esalta Guido Cavalcanti come emblema dell’intellettuale che non viene compreso dalla massa, che in lui vede solo, in maniera molto superficiale, una figura originale e solitaria, presa in maniera ossessiva dai propri pensieri. La “beffa” di Guido ai danni della brigata di Betto vuole invece ribadire proprio questa distanza incolmabile tra la gente comune e chi detiene il privilegio della cultura e del sapere: per questo Guido paragona i suoi avversari a dei morti, cioè a corpi ormai privi di vita e di senno.Da questo episodio traspare anche la prospettiva con cui nel Decameron si guarda al tempo passato e ai valori ch’esso incarna: Boccaccio, infatti, esclude del tutto dalla rappresentazione la questione politica . Piuttosto, alla luce dell’ideologia dell’opera e della visione del mondo del suo autore, conta la rievocazione, venata di nostalgia, del passato ideale della città di Firenze, in cui ancora esistevano figure, come quella di Cavalcanti, che rappresentavano al meglio un’aristocrazia non solo dei titoli o dei possedimenti ma anche dell’intelletto e della cultura umanistica

Il ritratto di Gertrude,Capitolo IX dei Promessi Sposi

Al centro del capitolo ci sono il personaggio e la biografia di Gertrude,la monaca di Monza,uno dei personaggi più noti e affascinanti dell’intero romanzo . Per la figura di Gertrude,Manzoni si ispira alla vicenda reale di una giovane nobildonna del tempo,suor Virginia di Levya;si tratta del secondo personaggio storico dell’opera,che l’Autore inserisce nella sua storia inventata adattandolo alle esigenze della vicenda adattandolo alle esigenze della vicenda ma mantenendone inalterate le caratteristiche reali ed esemplari.La vicenda di Gertrude è un dramma provato,che diventa strumento per la rappresentazione e la denuncia di un secolo,di una società degradata in tutte le sue principali istruzioni . Il costume della monacazione forzata sulla l’ipocrisia della famiglia delle classi nobiliari al potere e degli stessi ordini ecclesiastici

La ritrattistica nelle Arti Figurative

La diffusione del ritratto nelle arti figurative è ampia e varia,tanto da rendere molto difficile una rassegna adeguata alla complessità dell’argomento

La battaglia di Isso

Nella scena del mosaico della battaglia di Isso,scontro in cui nel 333 a.C Alessandro Magno sbaragliò l’esercito persiano e mise in fuga il re Dario III,spicca la figura del sovrano macedone a cavallo;il realismo della fisionomia,lo sguardo fiero ,il vigore e la nobiltà che spirano dalla sua figura ci permettono di ascrivere questa raffigurazione alla tipologia eroica del ritratto

Augusto di Prima Porta

La statua dell’imperatore è raffigurata in piedi, con il braccio destro alzato e il gesto di attirare l’attenzione: si tratta della posa con cui si richiedeva il silenzio prima dell‘adlocutio.La figura indossa la corazza che è decorata riccamente, al di sotto della quale porta la tunica corta militare. Un paludamentum gli avvolge i fianchi, ricadendo mollemente sulla mano sinistra, con un panneggio particolarmente elaborato. Nella stessa mano impugna la lancia. Sulla gamba destra è riportato un bambino: Eros, a cavallo di un delfino. Eros era figlio di Venere e il delfino è un omaggio a Venere, simboleggia infatti la nascita della dea avvenuta dall’acqua. Infatti Augusto apparteneva alla gens Iulia, che si riteneva discendere da Venere, madre di Enea, tramite il figlio di questi Ascanio o Iulo

Ritratto di Erasmo da Rotterdam di Hans Holbein il Giovane

Di profilo, in primo piano è raffigurato Erasmo da Rotterdam (1467-1536), noto filosofo impegnato a denunciare il fanatismo e l’intolleranza religiosa. Il suo volto è ben caratterizzato con grande cura per i particolari: le rughe che solcano il mento, i riccioli che escono dal cappello, l’espressione assorta e sorridente. Egli indossa un ampio abito scuro corredato di un cappello della stessa tonalità. Unica nota di civetteria sono gli anelli preziosi che ornano la mano sinistra. L’ambiente che lo accoglie sembra essere in sintonia con l’arredamento del tempo: un massiccio rivestimento parietale in legno, ravvivato dall’arazzo con motivi fitoformi. L’attenzione dell’umanista è concentrata su ciò che sta scrivendo. probabilmente una lettera

 

Marino D.

Analogie tra Michelangelo Buonarroti e Paolo Veronese (Storia dell’arte)

La Pietà vaticana

Michelangelo concepì il corpo di Cristo come mollemente adagiato sulle gambe di Maria con straordinaria naturalezza, privo della rigidità delle rappresentazioni precedenti e con un’inedita compostezza di sentimenti. Le due figure sembrano fondersi in un momento di toccante intimità, dando origine a un’originale composizione piramidale, raccordate dall’ampio panneggio sulle gambe di Maria, dalle pieghe pesanti e frastagliate, generanti profondi effetti di chiaroscuro. Fortemente espressivo è anche il gesto della mano sinistra, che pare invitare lo spettatore a meditare sulla rappresentazione davanti ai suoi occhi, secondo le pratiche di meditazione concentrata e dolente di ispirazione savonaroliana. La Vergine siede su una sporgenza rocciosa, qui ben finita con piccole fessure ad arte (a differenza di altre opere dell’artista in cui era semplicemente l’avanzo della sbozzatura del marmo), che simboleggia la sommità del monte Calvario

Compianto su Cristo Morto

Il Compianto sul Cristo morto è un soggetto divenuto molto popolare a partire dal XIV secolo e sviluppatosi soprattutto nel Rinascimento. In esso viene rappresentato Gesù dopo la sua deposizione dalla croce, circondato da vari personaggi che ne piangono la morte. Nel racconto della Passione di Cristo la scena del Compianto si colloca tra la Deposizione dalla Croce e la Deposizione nel Sepolcro. Il Veronese crea una composizione che già indica la via del manierismo. Lo spazio nella tela è diviso diagonalmente: da una parte si trova un affollato primo piano dove spicca il bianco corpo del Cristo sorretto sulle ginocchia dalla Madonna, come presente in numerose Pietà, dall’altra invece si trova uno spazio libero finno all’orizzonte dove si possono scorgere i luoghi della Pasqua, il Golgota, ove sono ancora presenti le tre croci, e più in lontananza la città di Gerusalemme. Il tutto è dominato da un cielo che si sta rischiarando di chiara ascendenza veneta

Tondo Doni

Il Tondo Doni è un dipinto a tempera su tavola, realizzato da Michelangelo su commissione di Agnolo Doni, un ricco banchiere fiorentino. L’opera ha forma circolare ed è incorniciata da una cornice progettata, ma non realizzata, dallo stesso Michelangelo; lungo questa cornice si notano cinque clipei, nei quali vi sono Gesù (in alto), due Profeti e due Sibille, ed alcune decorazioni floreali. Soggetto del dipinto è la Sacra Famiglia, quindi Gesù, Giuseppe e Maria; è rappresentato il momento in cui la Madonna posa un libro che stava leggendo e prende in braccio Gesù, offertogli da Giuseppe, come si nota dalla torsione del corpo di Maria. I tre personaggi si trovano in primo piano in un giardino, diviso dal resto dell’ambiente da un parapetto, simbolo di verginità, dietro al quale stanno alcune figure pagane; si nota la divisione tra il mondo divino e quello pagano

Annunciazione del Veronese

La scena si svolge in un’architettura palladiana, con una fuga di colonne al centro verso il punto di fuga di un arco che inquadra un giardino . Particolarmente monumentale appare il contrasto tra gli elementi verticali dell’architettura e il formato orizzontale del dipinto, che creano una scansione particolarmente solenne e d’effetto, anche grazie al senso di profondità accentuato dalla successione dei piani di luci e ombre. Idealmente il dipinto si divide in tre parti, la prima dove si trova l’angelo, la seconda dell’architettura, e la terza dove Maria si volta dalla lettura sull’inginocchiatoio in maniera teatrale, incrociando le braccia al petto in segno di umiltà. Il raccordo tra le tre parti è affidato a una nube luminosa di cherubini al centro della quale fa la sua comparsa la colomba dello Spirito Santo in discesa. L’angelo ha le vesti rigonfie dal volo appena terminato, capaci di creare aleganti riflessi cangianti nella stoffa, ed è in bilico in una posa asimmetrica, svolta in profondità, mentre solleva il dito destro per indicare il cielo, mentre col braccio sinistro tiene al petto il giglio candido

 

Marino D.

Paolo Veronese (Storia dell’arte)

Paolo Veronese

Paolo Caliari, detto il Veronese, è un altro dei grandi interpreti della pittura veneziana della seconda metà del Cinquecento. Al pari del Tintoretto, la sua ricerca pittorica è legata molto all’effetto scenografico, in grandi tele che affolla di personaggi e di numerosi particolari, sullo sfondo di complesse e spettacolari architetture.La sua formazione è però diversa dal Tintoretto. Non è la pittura di Tiziano a segnare il suo stile, bensì quella dei manieristi emiliani conosciuti tra Mantova e Parma, quali Giulio Romano, il Correggio e il Parmigianino. Da essi apprende il senso plastico delle figure, ma soprattutto una spiccata predilizione per la pittura di scorcio. Giunse a Venezia intorno al 1553 e vi rimase fino al termine della sua vita, realizzando nella città veneta le sue opere principali. A Venezia partecipò ai lavori di decorazione del Palazzo Ducale e della Libreria Marciana.

Compianto su Cristo Morto

Il Compianto sul Cristo morto è un soggetto divenuto molto popolare a partire dal XIV secolo e sviluppatosi soprattutto nel Rinascimento. In esso viene rappresentato Gesù dopo la sua deposizione dalla croce, circondato da vari personaggi che ne piangono la morte. Nel racconto della Passione di Cristo la scena del Compianto si colloca tra la Deposizione dalla Croce e la Deposizione nel Sepolcro. Il Veronese crea una composizione che già indica la via del manierismo. Lo spazio nella tela è diviso diagonalmente: da una parte si trova un affollato primo piano dove spicca il bianco corpo del Cristo sorretto sulle ginocchia dalla Madonna, come presente in numerose Pietà, dall’altra invece si trova uno spazio libero finno all’orizzonte dove si possono scorgere i luoghi della Pasqua, il Golgota, ove sono ancora presenti le tre croci, e più in lontananza la città di Gerusalemme. Il tutto è dominato da un cielo che si sta rischiarando di chiara ascendenza veneta

Annunciazione del Veronese

La scena si svolge in un’architettura palladiana, con una fuga di colonne al centro verso il punto di fuga di un arco che inquadra un giardino . Particolarmente monumentale appare il contrasto tra gli elementi verticali dell’architettura e il formato orizzontale del dipinto, che creano una scansione particolarmente solenne e d’effetto, anche grazie al senso di profondità accentuato dalla successione dei piani di luci e ombre. Idealmente il dipinto si divide in tre parti, la prima dove si trova l’angelo, la seconda dell’architettura, e la terza dove Maria si volta dalla lettura sull’inginocchiatoio in maniera teatrale, incrociando le braccia al petto in segno di umiltà. Il raccordo tra le tre parti è affidato a una nube luminosa di cherubini al centro della quale fa la sua comparsa la colomba dello Spirito Santo in discesa. L’angelo ha le vesti rigonfie dal volo appena terminato, capaci di creare aleganti riflessi cangianti nella stoffa, ed è in bilico in una posa asimmetrica, svolta in profondità, mentre solleva il dito destro per indicare il cielo, mentre col braccio sinistro tiene al petto il giglio candido

Sacra Famiglia con i santi Caterina e Giovannino

Su uno sfondo neutro, interrotto solo dallo spigolo di una parete, Maria, a destra, offre il proprio figlio dormiente all’omaggio di una santa in posizione predominante, con la palma del martirio, vestita come una principessa e quasi di spalle, e di san Giovannino, che bacia un piedino al fanciullo mentre san Giuseppe si piega su di lui con un gesto paterno, appoggiandogli una mano sulla spalla. Sull’identità della santa, dagli scarsi attributi iconografici, le fonti antiche parlano di Caterina d’Alessandria, la principessa martirizzata in Egitto, mentre studi moderni parlarono di santa Barbara: questa seconda ipotesi è oggi per lo più scartata, anche per il gesto con cui la santa porge la mano con l’anello al dito, come se fosse appena avvenuto il matrimonio mistico tipico dell’iconografia di santa Caterina. La ricercatezza delle pose, inclinate lungo la diagonale, il senso materico nella resa dei tessuti, i bagliori che accendono i capelli biondi della santa, la ricercatezza della sua acconciatura, gli effetti di luce ed ombra, sono tutti elementi di grande qualità, godibili appieno dopo che il restauro rimosse una vecchia ridipintura ingiallita

Allegoria della Battaglia di Lepanto

La sezione superiore mostra ciò che la critica più recente ha individuato come una rappresentazione della Vergine d’Adria , ammantata del mantello bianco della Fede, che è presentata al cospetto della Vergine del Rosario da San Pietro, San Giacomo, San Marco e Santa Giustina. I santi, protettori delle forze componenti la terza Lega Santa, sono disposti a semicerchio nell’atto di rendere omaggio alla Vergine. Alle loro spalle è dipinto un gruppo di angeli, riuniti in coro di preghiera in suffragio della vittoria, dei quali uno fa capolino tra le nuvole scagliando saette sulle navi ottomane. Nella parte inferiore, la cui divisione è resa chiara proprio dalla linea di nuvole, si svolge la battaglia vera e propria. Le navi sono illuminate da raggi di luce provenienti dal cielo soprastante, ad indicare come l’esito dello scontro fosse stato determinato da forze ultraterrene. L’allegoria è volta a sottolineare il ruolo svolto da Venezia nella battaglia, rispetto agli altri due componenti la Lega rappresentati dai propri patroni, essendo la Serenissima simboleggiata da due dei quattro santi

 

Marino D.

Tito Lucrezio Caro e l’Epicureismo (Filosofia-Letteratura latina)

La vita di Epicuro

Ancora giovinetto, ascoltò a Samo il platonico Panfilo, ma dissentì da questa filosofia e si avvicinò al democriteo Nausifane. A 18 anni si recò ad Atene e a 32 iniziò a insegnare, passando poi a Mitilene e a Lampsaco. Ad Atene, nel 306 a. C., comprò una casa con giardino, dove fondò la scuola che da lui prese nome: come molte altre scuole filosofiche greche, anch’essa assunse presto un carattere religioso, sebbene oggetto di venerazione fosse il maestro stesso

La filosofia come quadrifarmaco

Epicuro vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità,intesa come liberazione dalle passioni.Il valore della filosofia e strumentale,in quanto il suo fine è la felicità.Mediante la filosofia l’uomo si libera da ogni desiderio irrequieto e molesto.Il ruolo della filosofia consiste nel fornire un quadruplice farmaco:

1.liberare gli uomini dal timore degli dei perché non si occupano delle faccende umane;

2.liberare gli uomini dal timore della morte,dimostrando che essa non è nulla per l’uomo;

3.dimostare l’accessibilità del piacere;

4.dimostare la lontananza del male,cioè la brevità e la provvisorietà del dolore

La canonica e la fisica

La canonica è in sostanza la logica, cioè la dottrina della conoscenza, diretta a stabilire i criteri o “canoni” della verità, che sono principalmente le sensazioni. Dalla fisica di Democrito, Epicuro deduce il principio del materialismo e meccanicismo universali, e nella materia ricerca la spiegazione della natura; con gli stoici, Epicuro sostiene che ogni cosa è corpo, e il nascere e morire delle cose non è che un processo di aggregazione e di disgregazione dei corpi più semplici, che Epicuro chiama “atomi”: questi si muovono nel vuoto infinito, e casualmente – senza quella “necessità ordinatrice” di cui parlava Democrito. Così la sensazione è generata dal distaccarsi, dalla superficie delle cose, di un flusso continuo di atomi che, condensandosi in “immagini”, entrano in contatto con il soggetto senziente. Fondata su queste basi, la dottrina di Epicuro afferma che la sensazione è sempre vera, contrariamente alla credenza od opinione che, se non è confermata dai sensi, può rivelarsi fallace. La dottrina di Epicuro è dunque del tutto materialistica e esclude ogni intervento divino sul mondo

L’etica

Il pensiero di Epicuro ci è noto attraverso i suoi discepoli .Per Epicuro la filosofia, come disciplina e come atteggiamento di vita, ha come fine il raggiungimento della felicità. Questa s’identifica nella liberazione dalle passioni, dai desideri, dalle opinioni incerte e mutevoli: la conoscenza quindi non ha un valore autonomo, ma ha senso, per chi la possiede, solo in quanto contribuisce alla sua felicità e al suo equilibrio interiore. Per Epicuro l’ignoranza e la superstizione stanno alla base della paura popolare degli dei e della morte: ma la filosofia libera l’uomo dai pregiudizi e dalle superstizioni, e lo conduce al sapere, alla conoscenza di sé e delle leggi di natura, causa di quella felicità che s’identifica con la libera serenità del saggio. Questi raggiunge così la pace interiore, che Epicuro chiama atarassia, lo scopo finale, il fine pratico cui la ricerca speculativa è subordinata. È chiaro come una dottrina morale di questo tipo identifichi totalmente e senza residui il piacere e la felicità, anche se Epicuro distingue il piacere stabile – cioè la liberazione dai dolori e dalle passioni – dal piacere “in movimento”, come l’allegrezza e la gioia: solo il primo è per Epicuro veramente la felicità

Politica

Quanto alla vita politica se ne riconoscono i vantaggi, ma si consiglia il saggio di non parteciparvi, per l’ambizione e i turbamenti che può generare. Epicuro fu scrittore assai prolifico, ma di lui ci restano solo, attraverso Diogene Laerzio, tre lettere, e le Massime capitali. Molti frammenti, anche della sua opera principale (Sulla natura) e di sue lettere hanno poi dato i papiri di una villa di Ercolano scoperti nel 1752-54

Biografia di Tito Lucrezio Caro

Le notizie riguardanti la vita di Lucrezio sono a dir poco scarse:tutto quello che conosciamo di lui è conservato dal Chronicon di Girolamo che registra:”Nasce il poeta Tito Lucrezio che,condotto alla pazzia per un filtro d’amore,dopo aver scritto nei periodi di lucidità della pazzia alcuni libri,che poi rivide Cicerone,si suicidò a 43 anni”.

Lucrezio quindi è nato nel 94 e morto intono al 50 a.C;è leggendario il filtro d’amore ,notizia che forse descrive gli effetti devastanti della passione d’amore secondo quanto indica la filosofia epicurea che ha seguito.Senza fondamento paiono anche le notizie legate alla pazzia e al suicidio,nate quindi in un ambiente avverso al materialismo lucreziano e costruire in parte su dati interni al poema

Il genere e i contenuti del De rerum natura

Il De rerum natura è un poema in esametri,diviso in sei libri e dedicato all’aristocratico Memmio da identificare forse con il Gaio Memmio,politico conosciuto anche da Catullo.L’opera appartiene al genere didascalico,di cui fu iniziatore Esiodo ma Lucrezio prese ispirazione in particolare dai poemi di Parmenide e di Empedocle.Il titolo ricalca quello dell’opera più importante di Epicuro cioè Sulla natura.Materia del De rerum natura è la dottrina di Epicuro,che Lucrezio dice di voler esporre in forma chiara e rendere più agevolmente accettabile con i dolci allettamenti della poesia,al fine di spiegare le leggi della natura e liberare gli uomini dalle angosce e dai terrori provocati dall’ignoranza e dall’errore.Il poema è articolato in tre gruppi di due libri cioè i diadi

La struttura del De rerum natura

1 Diade:La dottrina degli atomi:

Libro 1:Dopo l’inno a Venere,Lucrezio esalta la figura di Epicuro che ha sconfitto il potere della religio,causa di terrori per l’uomo e ispiratrice di azioni empie e delittuose . La trattazione vera e propia comincia con la dimostrazione che nulla nasce dal nulla, parlando della natura degli atomi;

Libro 2:Gli atomi si muovono in linea retta,cadendo dall’alto verso il basso,ma sono soggetti a un impulso:questo impulso provoca la deviazione da cui è resa possibile la loro aggregazione;gli atomi non presentano delle qualità sensibili e del tutto estranei ai processi naturali sono gli dei.

2 Diade:La costituzione dell’uomo:

Libro 3:Dopo un nuovo elogio di Epicuro,Lucrezio passa alla trattazione della natura dell’anima,distinta in animus e anima.L’anima è formata da atomi lisci,levigati e leggeri;nasce insieme al corpo e con esso si disgrega;

Libro 4 : Dopo il proemio è trattato il tema delle sensazioni;i corpi sono ricoperti da una sottile membrana di atomi,i simulacra rerum,che vanno a colpire gli organi dei sensi e rendono così possibile la percezione e conoscenza delle cose.

3 Diade:Il mondo:

Libro 5 :Un elogio di Epicuro apre anche questo libro ,dedicato alla natura del mondo,il quale non è stato creato dagli dei per il bene dell’uomo ma è nato dal combinarsi degli atomi dei quattro elementi;

Libro 6: L’ultimo libro del poema tratta i fenomeni celesti e terrestri,dei quali Lucrezio spiega le cause naturali,escludendo anche per essi un intervento divino

Le fonti e i modelli del De rerum natura

Lucrezio prese ispirazione molte fonti filosofiche per l’impostazione ideologica e i contenuti;dai modelli greci cioè le opere di Esiodo per i canoni del genere didascalico,poemi filosofici di epoca arcaica come Parmenide e Empedocle per l’ispirazione e la trattazione dei contenuti,poemi didascalici di epoca ellenistica per la trattazione e l’organizzazione della materia,epos omerico per lo stile,la dizione formulare e la solennità.Dal modello latino prese lo stile,la lingua e le modalità di trattazione dei contenuti,in particolare dai poemi didascalici di Ennio

La poetica lucreziana

La forma poetica del De rerum natura è apparsa a molti in contrasto con la condanna che Epicuro fa contro la poesia,considerata come un pericoloso veicolo di falsità e superstizioni.L’epicureismo lucreziano non si limita ad accettare la forma poetica in quanto strumento efficace di comunicazione,ma rivaluta l’essenza stessa della poesia:il lepos è caratteristica sia delle Muse sia di Venere,intesa come il principio cosmico della vita.Non tutte le forme di poesia potevano essere considerate positive,infatti Lucrezio condanna i detti dei vati,cioè dei sacerdoti,ma anche dei poeti mistificatori,che inducono false credenze e così generano superstizioni e paure.IL De rerum natura oltrepassa i limiti angusti della poesia didascalica,la dimensione dotta ,fredda e libresca,il concetto di arte come lusus e raffinatezza,per attingere alla concezione primitiva,sublime,sacrale che fa della poesia la più alta forma di conoscenza e di verità e fa del poeta colui che è chiamato a diffondere con entusiasmo missionario la sua dottrina filosofica.Il poema lucreziano è interpretabile in primi luogo come strumento per aiutare gli uomini a vincere la paura della morte e la sofferenza indotta dalle passioni.Un aspetto primario è quello pedagogico ,volto a insegnare le verità scientifiche e a persuadere gli incerti con le opportune argomentazioni

La polemica contro la religio

Lucrezio dedica molte parti della sua opera alla critica contro i sacerdoti ,gli indovini o i poeti che diffondono pericolose superstizioni e soprattutto contro la religio,considerata da lui fonte di errori e di dolori per l’uomo .Se si pensa come a Roma la religione avesse un ruolo importante sia da un punto di vista privato che pubblico,si può ben capire come le sue idee potessero apparire criticabili,specialmente da parte dei tradizionalisti,che vedevano l’epicureismo come una minaccia per la stabilità dello Stato romano. Nel De rerum natura Lucrezio riprende il metro della tradizione del poema didascalico e la finalità dichiaratamente educativa;il poema però non ha un andamento strettamente tecnico e appare pervaso spesso dall’aura sapienziale

La lingua e lo stile

Lo stile adottato dal poeta è sublime e arcaico,ma con un’ispirazione visionaria che genera immagini,analogie e metafore;da Ennio Lucrezio riprende gli espedienti retorici, i vocaboli come aggettivi composti,arcaismi di tono elevato uniti all’uso di formule e ripetizioni proprie dell’epos omerico.Il linguaggio filosofico lucreziano è intessuto di neologismi:Lucrezio rivendica a sé il merito di aver percorso strade nuove per la poesia del vocabolario latino di cui più volte si lamenta.Alcuni tratti distintivi dello stile del poema rispondono a un’esigenza concretamente didattica:sono molto frequenti le formule di passaggio che scandiscono i diversi momenti dell’esposizione e richiamano l’attenzione del lettore-discepolo sui cardini della dottrina.L’argomentazione filosofica si avvale spesso di similitudini tratte dall’esperienza vissuta o dai fenomeni della natura.L’uso frequente dell’analogia e dell’immagine e dell’esempio risponde alla necessità pedagogica di rendere percepibili i concetti astratti,anche al fine di agevolarne la memorizzazione

Il silenzio dei contemporanei

Scarsi ed esclusivi sono i riferimenti a Lucrezio da parte degli scrittori latini tanto da far pensare a una congiura del silenzio nei suoi confronti,motivata forse dal carattere sovversivo della dottrina epicurea.Negli autori tardo-repubblicani non troviamo alcuni riferimenti a Lucrezio a parte un cenno di Cornelio Nepote ed è elogiativo che documenta l’apprezzamento della poesia di Lucrezio dai suoi contemporanei

Gli echi virgiliani e oraziani

Fra i poeti della generazione augustea,Virgilio è certamente il più vicino alla sensibilità di Lucrezio:ne riecheggia il sentimento profondo e drammatico della natura e l’intento filosofico-didascalico in molti passi delle sue opere ed in particolare nelle Georgiche.Allusioni a motivi lucreziani compaiono anche in Orazio,che nella terza satira del libro I riassume parte della Storia del genere umano contenuta nel libro V del De rerum natura

Le citazioni di Vitruvio e Ovidio

La congiura del silenzio nei confronti di Lucrezio è rotta soltanto da Vitruvio e Ovidio:Vitruvio nel penultimo libro del De architectura,nomina Lucrezio tra i grandi maestri del passato,mentre Ovidio negli Amore scrive parole di entusiastico elogio e colloca Lucrezio accanto ad Ennio e Catullo in un’elegia dei Tristia dedicata ad Augusto

La fortuna lucreziana in età imperiale

Nella successiva età imperiale Lucrezio è riacheggiato da Seneca,imitato da Manilio,ammirato da Stazio e nominato da Tacito.Quintiliano lo stima elegante ma difficilis e comunque inferiore al modello virgiliano.In seguito lo stile di Lucrezio suscita l’interesse e l’ammirazione di alcuni esponenti della tendenza arcaizzante del II secolo d.C

Dalle imitazioni rinascimentali alla rivalutazione settecentesca

Un evidente riferimento alla Venere con la quale si apre il poema compare in vari passi delle Stanze del Poliziano e quindi nei corrispettivi dipinti di Botticelli,opere in cui la figurazione lucreziana è interpretata secondo una nuova prospettiva filosofica.Un importante richiamo lo ritroviamo anche in Tasso,nel proemio della Gerusalemme Liberata dove riprende il motivo lucreziano della medicina amara resa accettabile dallo zucchero cosparso sull’orlo del bicchiere

 

Marino D.

Antievoluzionismo (Biologia)

Critiche all’evoluzionismo dalla genetica

Alcuni antievoluzionisti non ritengono possibile la speciazione. La critica è legata alla presunta mancanza di forme di transizione nella documentazione fossile. Un caso discusso fu quello della scoperta nel 1997, in due specie di pesci che vivono nei due rispettivi poli, di un gene comune che sintetizza un anticongelante del sangue. Questo gene è una versione leggermente modificata di un gene che produce il tripsinogeno, un enzima del pancreas. Il fatto che questi due pesci non possano avere un antenato comune che gli ha trasmesso il gene perché si sono evoluti da due ceppi diversi e in zone opposte del pianeta, porta alcuni a concludere che il gene sia stato selezionato indipendentemente nei due casi e che si tratti di un caso di evoluzione convergente

Evoluzionismo e fede cristiana

Sebbene non professi più il creazionismo biblico la Chiesa cattolica non ha tuttavia una posizione unitaria e definita sul darwinismo. Oggi la teoria di Darwin è in parte accettata dai teologi favorevoli al progresso scientifico, pur non potendo essi accettare la totale casualità delle mutazioni genetiche che causano le speciazioni. Essi si rifanno al pensiero di Sant’Agostino d’Ippona, il quale effettivamente sostenne che Dio non ha creato il mondo nelle identiche condizioni in cui questo si trova attualmente. Secondo Sant’Agostino, infatti, Dio ha creato il mondo in una condizione più semplice e più rudimentale, fornito però di speciali capacità (dette “ragioni seminali”) di svilupparsi ed evolversi nei modi in cui di fatto si è in seguito sviluppato e perfezionato. I teologi evoluzionisti, però, allo scopo di restare nei limiti dell’ortodossia cristiana, e cioè di conformarsi a quanto le Sacre Scritture narrano circa l’origine dell’uomo

Chiesa Cattolica

La Chiesa cattolica non esprime una posizione ufficiale riguardo alla teoria dell’evoluzione, rimettendo la questione agli scienziati. Da un lato troviamo le affermazioni di papa Giovanni Paolo II che ha implicitamente sostenuto che la Chiesa non si oppone oggi all’ipotesi evoluzionistica come fenomeno storico dichiarando che essa è “più che una teoria”. Al contempo, però, la Chiesa rifiuta la posizione che vede il processo di mutazioni genetiche alla base dell’evoluzione come un processo guidato unicamente dal caso, e afferma invece che l’universo è il risultato di un progetto ordinato ad uno scopo. Si veda in merito la seguente dichiarazione di papa Benedetto XVI .Va comunque precisato che nessun darwinista ha mai affermato che l’evoluzione sia un processo dovuto unicamente al caso, l’idea che l’evoluzione sia guidata unicamente dal caso non fa affatto parte della teoria dell’evoluzione, ma è solo un frequente fraintendimento di molti “non addetti ai lavori”. Essi la definiscono una teoria, cioè una costruzione “metascientifica”, la quale si avvale anche di certe nozioni ricavate non dall’esperienza, ma dalle varie espressioni della cosiddetta filosofia della natura. In quanto teoria, quindi, essa soffre irrimediabilmente di tutta la precarietà e la contingenza di cui soffre una qualunque altra teoria scientifica. Inoltre, sottolineano, è soggetta a un condizionamento ideologico che, in ultima analisi, lascia aperta la questione di appurare la reale portata dei fatti osservati, dal momento che l’evoluzione in quanto tale, non è mai stata oggetto di osservazione. Esistono pertanto letture materialistiche e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio sulla validità è, in ultima analisi, soggetto a verifiche di tipo filosofico e teologico. Mentre la Chiesa respinge ogni riduzione puramente materialistica che è incompatibile con la verità dell’uomo (immagine e figlio di Dio) è aperta al dialogo con la comunità scientifica

Disegno Intelligente

La teoria del disegno intelligente è anche nota come creazionismo evolutivo o creazionismo scientifico. Una larga parte della comunità scientifica ritiene che sia stato introdotto per motivi che esulano dalla scienza, ma che hanno più a che fare con il sostegno alla fede cristiana e ad una certa politica americana. Questa teoria è nata da una critica ad alcune lacune del darwinismo che lo stesso Darwin aveva descritto nel capitolo “Dubbi” del suo lavoro più noto, L’origine delle specie. La teoria del Disegno intelligente si fonda inoltre sul concetto di complessità irriducibile. L’inventore del concetto, il biochimico Michael Behe illustra questo concetto tramite l’esempio della trappola per topi. Essa è composta di pochi, semplici elementi, senza uno dei quali essa non funziona affatto: è dunque “irriducibile”. Si tratta in pratica di una moderna riproposizione dell’esempio dell’orologio portata da William Paley arcidiacono di Carlisle, nel suo libro Teologia Naturale. Applicando questo principio a vari organismi e organi presenti in natura se ne desume, secondo i sostenitori del Disegno intelligente, che è impossibile che essi siano lo “stadio evoluto” di qualcosa che c’era prima. Ciò induce a ritenere probabile che questi organismi siano apparsi in questo stadio perfetto e funzionante da un momento in poi e non abbiano avuto “progenitori”. Esempi portati a sostegno di questo argomento sono i batteri unicellulari, l’occhio, il sangue, i reni.

Il disegno intelligente non è tuttavia rigorosamente scientifico, e la maggior parte della comunità scientifica, la quale sostiene la teoria evoluzionistica, non lo considera valido. Infatti, la quasi totalità degli scienziati afferma che il suo maggiore argomento, quello della irriducibilità degli organismi complessi, sia stato superato già negli anni immediatamente successivi a Darwin stesso, in particolare:

constatando che molte “parti complesse” degli organismi hanno, o hanno avuto, nel corso della evoluzione dell’organismo stesso, funzioni multiple

notando come la stessa funzione viene a volte svolta in modo ridondante da organi diversi, permettendo quindi uno spostamento anche lento e parziale delle funzioni importanti o vitali da un organo ad un altro

Creazionismo islamico

Mentre l’Islam contemporaneo tende a prendere letteralmente i testi religiosi, di solito considera la Genesi una versione corrotta del messaggio di Dio. La creazione narrata nel Corano è chiara ma consente comunque un più ampio ventaglio di interpretazioni. Diversi movimenti liberali all’interno dell’Islam generalmente accettano le posizioni scientifiche circa l’età della terra, l’età del cosmo e l’evoluzione. Tuttavia uno studio del 2007 ha evidenziato che solo l’8% degli egiziani, 11% del malaysiani, il 14% dei pakistani, il 16% di indonesiani e il 22% dei turchi è d’accordo sul fatto che la teoria di Darwin è certamente o probabilmente vera e uno studio del 2006 ha evidenziato che circa un quarto dei turchi adulti è convinto che gli esseri umani si sono evoluti da precedenti specie animali. Al contrario, uno studio del 2007 ha evidenziato che solo il 28% dei kazaki pensa che la teoria evoluzionistica è falsa; questa frazione è molto inferiore a quel 40% di adulti degli Stati Uniti che ha lo stesso parere

Induismo ed evoluzione

Le opinioni degli Indù spaziano su una vasta gamma di punti di vista per quanto riguarda l’evoluzione, creazionismo, e l’origine della vita. A questo proposito alcune scuole indù non trattano letteralmente il mito scritturale della creazione, lasciando così aperta la possibilità di accettare la teoria dell’evoluzione. Alcuni indù trovano prove a sostegno o prefiguraziono delle idee evolutive nelle Scritture, vale a dire nei Veda. Un’eccezione a questa accettazione è la Società Internazionale per la Coscienza di Krishna , che comprende diversi membri che si oppongono attivamente al “darwinismo” e alla moderna sintesi evolutiva

Buddhismo ed Evoluzione

Dal momento che non è in contrasto con i principi della loro religione, la maggior parte dei buddisti accettano tacitamente la teoria dell’evoluzione. Poiché il buddismo non si occupa di questo tipo di problemi, molti buddisti non considerano tale questione particolarmente significativa o utile dal punto di vista religioso, poiché il Buddha ha detto che l’unica realtà è la realtà percepita. Il Buddha ha sostenuto che non vi è alcuna necessità razionale dell’esistenza di un dio creatore, perché tutto in ultima analisi viene creata dalla mente. La credenza in un creatore non è indispensabile per una religione basata sulla fenomenologia. Dal momento che il credere in un creatore non è necessario, una particolare teoria sulla vita e sulla causa dell’universo non sono necessarie

Devoluzionismo

Giuseppe Sermonti, ex professore universitario di genetica, è autore di una variante dell’antievoluzionismo che ha creato un certo scalpore mediatico: l’ipotesi del devoluzionismo. Nel suo libro La luna nel bosco sostiene esplicitamente la discendenza delle scimmie dalla linea di discendenza (filetica) umana. In altre parole, suggerisce che siano le scimmie a discendere dagli uomini. L’idea di Sermonti è considerata, dalla comunità scientifica, come pseudoscienza: infatti, per la teoria dell’evoluzione, gli uomini non discendono dalle moderne scimmie, ma hanno con esse un antenato comune definito (in termini divulgativi) proto-scimmia. Tali progenitori vissero in Africa milioni di anni fa, a seguito del sollevamento del Rift Valley, che divise geograficamente la popolazione delle proto-scimmie. Le proto-scimmie rimaste isolate nelle foreste si sarebbero evolute nelle scimmie moderne, mentre le proto-scimmie rimaste isolate nelle praterie/savane si sarebbero evolute nell’uomo moderno. Secondo l’ipotesi di Sermonti, comunità di uomini costrette a vivere in condizioni ed ambienti estremi per generazioni siano diventate “estreme” e selvagge esse stesse; in sostanza, tali comunità umane si sarebbero adattate secondo necessità, a livello biologico, psichico e morale, ad un ambiente non più umano, e che dunque non permetteva più all’essere umano di rimanere tale. Tale ipotesi, insieme ad altre ipotesi alternative all’evoluzionismo, in ambienti estranei alla comunità scientifica, è sostenuta anche dal paleontologo dell’Università di Siena

Altre opinioni su Evoluzione e Fede

Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.Anche il noto fisico italiano Antonino Zichichi ha mosso una forte critica contro l’evoluzionismo, partendo dalla sua solida fede cattolica e sviluppando alcune argomentazioni di tipo scientifico. La validità di queste ultime è stata però fortemente criticata nel merito dagli specialisti della materia dato che Zichichi non ha assolutamente una formazione scientifica pertinente, non provenendo da nessun percorso di tipo biologico, biomolecolare, naturalistico o paleontologico, evidenziando elementari carenze conoscitive. Infatti, nel suo libro “Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo” , egli scrive:

« “[…] La cultura dominante ha posto il tema della specie umana sul piedistallo di una grande verità scientifica in contrasto totale con la Fede. […] Arrivati all’Homo Sapiens Neaderthalensis (centomila anni fa), con un cervello di volume superiore al nostro, la Teoria dell’Evoluzione Biologica della specie umana ci dice che, quarantamila anni fa circa, l’Homo Sapiens Neaderthalensis si estingue in modo inspiegabile. E compare infine, in modo altrettanto inspiegabile, ventimila anni fa circa, l’Homo Sapiens Sapiens. Cioè noi. Una teoria con anelli mancanti, sviluppi miracolosi, inspiegabili estinzioni, improvvise scomparse non è Scienza galileiana […]” »

Egli, dunque, critica non solo una parte fondamentale della teoria di Darwin, ma anche la stessa struttura scientifica di tale teoria. Al contempo, però, dimostra di ignorare sia la sequenza fossile degli ominidi antecedente alla comparsa di H.sapiens e H.neandertalensis (quest’ultimo non è nemmeno antenato diretto di H.sapiens), che le datazioni dei ritrovamenti paleontologici, le quali concordano nel confermare la contemporanea presenza sulla Terra di entrambi per un certo lasso di tempo, e la precedente differenziazione di H.sapiens 200 000 anni fa. Questa sua ignoranza giustifica gli aggettivi “miracolosi … inspiegabili … improvvisi” che usa al riguardo della questione. Comunque, continua:

« “[…] Come può un’applicazione, ancora tanto imperfetta e lacunosa, dell’elettromagnetismo -quale è la teoria dell’evoluzione umana- pretendere di negare l’esistenza di Dio? Eppure l’uomo della strada è convinto che Charles R. Darwin abbia dimostrato la nostra diretta discendenza dalle scimmie: per la cultura dominante non credere alla teoria Evoluzionistica della specie umana è un atto di grave oscurantismo, paragonabile a ostinarsi nel credere che sia il Sole a girare intorno, con la Terra ferma al centro del mondo. È vero l’esatto contrario

 

Marino D.

L’età ellenistica (Storia-Filosofia-Letteratura greca-Storia dell’arte-Scienze)

Ellenismo

L’Ellenismo, nella storiografia moderna, indica quel periodo storico-culturale della storia del Mondo Antico «che segue le imprese di Alessandro e arriva fino alla formale nascita dell’Impero Romano» con la morte di Cleopatra e con l’annessione dell’ultimo regno ellenistico, il Regno tolemaico d’Egitto, nel 30 a.C con Ottaviano vincitore ad Azio nel 31 a.C.L’ellenismo è noto anche come età ellenistica o età alessandrina. Il suo tratto caratterizzante è la diffusione della civiltà greca nel mondo mediterraneo eurasiatico e orientale, e la sua fusione con le culture dell’Asia Minore, dell’Asia Centrale, della Siria e della Fenicia, dell’Africa del Nord, della Mesopotamia, dell’Iran e dell’India, e la conseguente nascita di una civiltà, detta appunto «ellenistica», che fu modello per altre culture relativamente alla filosofia, economia, religione, scienza e arte

Storia,origine e caratteristiche

—L’evento cruciale dell’avvento della nuova cultura ellenistica fu la crisi della polis, che non fu affatto improvvisa. L’esasperazione dei cittadini nei confronti delle interminabili guerre tra le città portò alla convinzione che la pace e l’unità potessero essere raggiunte solo attraverso l’intervento di un principe straniero. Così Filippo II di Macedonia, la cui casa reale si era ellenizzata dai tempi delle guerre persiane, riuscì ad entrare nelle discordie tra i greci e ad imporre la sua talassocrazia. Con le imprese di Alessandro, che seguì Filippo, cessarono tutte le libertà delle polis greche. I successi del principe macedone furono visti però come il coronamento di un sogno: la grande vittoria della Grecia unita contro il popolo persiano. A rafforzare il sostegno verso Alessandro, fu l’ambizione stessa del giovane condottiero, che intendeva varcare l’Ellesponto, per conquistare il mondo e creare un regno universale, coeso dalla cultura greca. La spedizione di Alessandro Magno può, per importanza e conseguenze, essere considerata uno degli eventi epocali nella storia del mondo antico. La portata di quella che è stata chiamata la rivoluzione alessandrina fu talmente rilevante per le implicazioni politiche e per i mutamenti culturali che ingenerò da determinare la fine dell’era classica e l’inizio dell’era cosiddetta ellenistica.

—Il suo enorme impero fu smembrato in tre grandi regni:

—la dinastia tolemaica in Egitto;

—la dinastia seleucide in Siria, Mesopotamia e Persia;

—la dinastia antigonide in Macedonia e Grecia.

Società

—L’età ellenistica è caratterizzata da alcuni importanti fattori che trasformarono, anche in modo sostanziale, la cultura, l’economia, la società e le istituzioni politiche greche. Se si immagina l’importanza che aveva assunto la polis all’interno della società e della storia greca, è facile anche immaginare quale profondo sconvolgimento la crisi delle città apportò a tutta la cultura ellenica. Tutto era stato definito in funzione della polis: l’economia, la struttura sociale, la libertà, la cultura, la religione, i valori morali, persino il rapporto fra gli individui con il mondo stesso. La polis cessa di essere un universo piccolo ma compiuto e autosufficiente. Politicamente la conseguenza più importante della rivoluzione alessandrina fu il cambiamento da un dominio politico della città-stato a quello delle grandi monarchie, fortemente accentrate intorno alla figura divinizzata del sovrano. La trasformazione della compagine statale, in cui assumeva notevole rilievo la burocrazia, cui era concretamente affidata l’amministrazione dei regni ellenistici, fu accompagnata da una evoluzione economica e sociale. L’intensificazione del commercio tra i vari stati e le regioni orientali, la rifioritura dell’artigianato e l’incremento demografico apportarono un benessere economico che favorì la crescita di nuovi agglomerati urbani

Cultura ellenistica

La cultura “ellenica”, propria dell’etnia greca, venendo a contatto con le tradizioni e le credenze delle varie popolazioni parlanti il greco derivato dalla lingua attica semplificata conosciuta come koinè vale a dire la lingua comune o panellenica, divenne cultura “ellenistica”. Dato l’ampliamento del territorio geografico, la cultura intera subì una diffusione generale e una fioritura dei centri di cultura, anche se il prestigio straordinario di Atene non cessò in breve tempo. Continuò ad essere il centro della vita filosofica: il Liceo retto da Teofrasto e l’Accademia continuarono a svolgervi la propria attività; successivamente, nel IV secolo vi fissarono le proprie sedi le due più importanti scuole ellenistiche, quella epicurea e quella stoica. Nacquero così nuovi centri di cultura quali Rodi, Pergamo e soprattutto Alessandria, con la fondazione della Biblioteca e del Museo, da parte dei Tolomei. Le trasformazioni socio-politiche dell’età post-alessandrina ebbero notevoli ripercussioni sulla vita culturale ellenistica

Filosofia

—Nel clima di generale insicurezza e di una “fuga nel privato” che caratterizza questa età di sconvolgimenti politici, sociali e culturali, alla filosofia si chiedono sostanzialmente due cose: da un lato una visione unitaria e complessiva del mondo, dall’altro lato una specie di “supplemento d’animo”, ossia una parola di saggezza e di serenità capace di guidare la vita quotidiana degli individui. Infatti conseguenza del ripiegamento verso il “privato” fu l’attenzione rivolta dagli intellettuali all’etica ed all’analisi interiore piuttosto che ad una indagine filosofica astratta. I vari sistemi filosofici del periodo considerato, pur con le loro intrinseche differenze, ebbero come fulcro delle loro speculazioni i problemi dell’uomo che ricerca e riscopre se stesso come individuo, piuttosto che la riflessione politica sulla società. Dagli insegnamenti dei filosofi, come Pirrone di Elide, Zenone di Cizio ed Epicuro, nacquero le maggiori dottrine filosofiche cosiddette ellenistiche, quali lo scetticismo, lo stoicismo, l’epicureismo e il cinismo di Antistene, propagandato dalla bizzarra figura di Diogene, lo scontroso interlocutore di Alessandro Magno.Queste scuole filosofiche ebbero tutte al centro del proprio interesse la eudaimonia ossia la ricerca di un’esistenza positiva da parte dell’uomo.

Letteratura

—Nell’età ellenistica vi fu una vasta e raffinata produzione letteraria. Esempi del nuovo gusto ellenistico possono essere trovati nelle opere di Callimaco, Teocrito e Apollonio Rodio. In questo periodo alla decadenza dell’oratoria e della commedia di argomento politico fece raffronto l’affermazione della retorica e della commedia di costume. Un grande sviluppo conobbe la poesia d’occasione, con una spiccata preferenza a componimenti brevi ed eleganti, quali inni, epigrammi ed elegie, nei quali primeggiavano temi quotidiani e dimensioni pastorali e rustiche, come negli Idilli di Teocrito. Nacque infine il romanzo greco, ricco di avventure, elementi fantastici e storie d’amore. Le imprese di Alessandro offrirono molti spunti per una vasta letteratura storiografica, spesso al limite del romanzesco o addirittura del falso storico; sempre nel campo della storiografia si afferma comunque anche una tendenza che aspira a restituire alla medesima il carattere di massima verità possibile, richiamandosi, anche implicitamente, a Tucidide, e che vede Polibio come suo massimo rappresentante

La poesia ellenistica

—Si è soliti chiamare ellenistica la poesia in lingua greca prodotta fra il III secolo a.C e la fine del I secolo a.C,soprattutto nei poesie e nelle isole della zona sudorientale del Mediterraneo.Il termine alessandrinismo,usato per indicare i tratti tipici della produzione letteraria di quest’epoca,deriva dal fatto che Alessandria d’Egitto.le mutate condizioni politiche produssero negli scrittori un diffuso sentimento cosmopolita e alimentarono una concezione della letteratura profondamente diversa da quella dell’età classica.Si affermò la figura del poeta-filologo,studioso di grandi opere del passato e spesso impegnato nella critica dei testi.Nella prassi poetica si predilessero le opere brevi,raffinate e curate nella forma

Callimaco e l’elegia

—Callimaco (310 – 240 a.C.) rappresenta la svolta epocale impressa alla civiltà greca dalla conquista di Alessandria. Infatti la sua poetica è una sostanziale rottura nei confronti della tradizione precedente: vengono messi in discussione i canoni dei generi letterari codificati nella poetica di Aristotele per far posto ad un sistema aperto e flessibile. Comunque c’è da dire che la posizione di Callimaco non è una polemica contro l’epos antico ma sottolinea semplicemente la sua inattualità. Così Callimaco per essere in armonia con l’Ellenismo propone piccole e raffinate composizioni che riprendono le saghe eroiche e che prendono il nome di epilli

Gli Aitia

—Costituiti da 4 libri, composti in metro elegiaco spiegano attraverso la rievocazione di un mito le origini di un’usanza o di una cerimonia (anche nomi e cavoli vari). In questo modo Callimaco congiunge i suoi interessi storici antiquari con quelli poetici. Comunque questo connubio fra erudizione e poesia non è frutto di una creazione ex novo, ma di fatti non canta nulla che non sia attestato

I Giambi

—Costituiti da 13 componimenti in metro giambico, trattano una grande varietà di temi. Infatti con questa opera, Callimaco risponde all’accusa di oligostikìa (per gli amici “troppi pochi versi”) con l’applicazione provocatoria della polyèideia (ovvero la varietà di temi). Questo aspetto viene ancora rafforzato dal fatto che il poeta rimarca il suo distacco dalla tradizione adoperando la forma giambica per rivestirne tematiche che ad essa erano tradizionalmente estranee.

Gli Inni

Gli inni sono 6 componimenti dedicati ad altrettante divinità. Sono un’opera interessante per il fatto che all’interno di essa si ha un oscillare fra l’accettazione della tradizione omerica e l’intenzione di violarla: infatti agli stilemi formulari del genere innografico si oppongono continue innovazioni e reinterpretazioni, cosa che crea nei lettori certe aspettative che poi vengono puntualmente disattese. Gli dei celebrati negli inni hanno tratti altrettanto umanizzati quanto quelli cantati dagli antichi aedi. Comunque i referenti terreni degli dèi non sono più dei guerrieri “pastori di popoli” ma potenti sovrani ellenistici

La poetica di Callimaco

—L’affermazione mega bibliòn mega kakòn non è soltanto una polemica ai caratteri quantitativi della tradizione ma fa intravedere anche una presa di posizione anti – aristotelica. Come avevamo già detto all’inizio il rifiuto dell’imitazione non implica la necessità della pura invenzione: infatti Callimaco si richiama di continuo al dato erudito che costituisce un grande supporto alla sua poetica. Quindi si può dire che, in senso generale, Callimaco si pone come oggetto la verità. Inoltre come già detto all’inizio il poeta decide di tagliare le connessioni con l’epica tradizionale per non dover rielaborare materiali già consunti da una tradizione plurisecolare.

Apollonio Rodio e l’epica

—Fu tra i direttori della biblioteca alessandrina: nella pergamena che ne elenca i direttori, Apollonio si trova tra Zenodoto di Efeso ed Eratostene, insieme ad Aristarco di Samotracia e Aristofane di Bisanzio.Si presuppone che ci sia stato uno scontro letterario tra Apollonio Rodio e Callimaco , causa le diverse tecniche letterarie adottate: l’uno predilige i piccoli componimenti, brevi e indipendenti, contro il poema che si distingue per la sua unità di Apollonio; tale polemica acquisterebbe veridicità qualora il destinatario di un poemetto callimacheo, l’Ibis, fosse proprio Apollonio: si tratta di una breve composizione verso un tale paragonato ad un uccello rapace di cui vengono sottolineati i caratteri negativi

Le Argonautiche

—La principale opera del poeta ellenistico sono sicuramente “Le Argonautiche”, poema epico in 4 libri narrante le vicende di Giasone alla ricerca del vello d’oro. Il testo ci è pervenuto con alcune note di tipo grammaticale, i cosiddetti scolii, che testimonierebbero come l’opera sia stata soggetta a continue fasi di perfezionamento: si pensa che la sua composizione abbia avuto inizio sotto Tolomeo III Evergete e che sia stato ultimato a Rodi. Nella sua stesura, Apollonio seguì i canoni aristotelici citati nella Poetica, secondo cui “il lettore deve poter abbracciare con un solo sguardo l’inizio e la fine di un’opera”.L’argomento del poema non è nuovo: degli Argonauti parlò Omero nell’Odissea ed Esiodo nella Teogonia. Il materiale a cui Apollonio poteva attingere era dunque molto vasto

Teocrito e la poesia bucolica

—Teocrito è l’unico poeta ellenistico in cui non c’è una ricerca erudita accanto all’attività di poeta (tipo Callimaco nella Biblioteca o Apollonio Rodio, ecc.). Non ci è giunta notizia di un’attività di questo tipo riferibile a Teocrito. L’attività poetica è l’attività principale e unica. Però nella poesia di Teocrito c’è erudizione, con riferimenti colti. È comunque riflessa. Ma questa erudizione non è uno sfoggio di protagonismo di sapere, è uno dei tanti ingredienti.Nella scelta degli argomenti aderisce in generale all’estetica di Callimaco, ma ha temi mitologici solamente per una piccola parte. L’aspetto più originale della sua produzione non si trova nella parte in cui ricorre al mito.

Gli Idili

—Il nome indica il tipo di componimento, di estensione relativamente breve e ambientazione arcadica; in seguito, il termine assumerà per antonomasia il significato attualmente attribuitogli. Sono una raccolta di 30 componimenti in esametri; di questi solo 21, in dialetto dorico e di breve estensione, sono sicuramente attribuibili a Teocrito. Esiste anche il frammento di un XXXI idillio su papiro. Si tratta, dunque, di un’opera dal contenuto vario: un gruppo tratta d’argomento bucolico, genere di cui Teocrito è ritenuto l’inventore; un altro è costituito dai cosiddetti mimi, cioè scene e dialoghi di vita quotidiana; altri sono di argomento mitologico vi è un inno ai Dioscuri, la cui peculiarità è la presenza di una sticomitia di tipo tragico; altri infine contengono spunti ed accenni personali e sono generalmente ritenuti spuri. Teocrito iniziò probabilmente la composizione degli Idilli in seguito al primo viaggio, fatto a Cos, e decise di continuare nella sua opera dopo aver assistito al dibattito ad Alessandria, iniziato da Callimaco sull’importanza della nascita di un nuovo genere che abbandonasse gli schemi classici, più propriamente omerici, e che si facesse portatore di un nuovo metodo di composizione, caratterizzato dalla brevitas e dal labor limae.

Gli epigrammi

—Dei 25 epigrammi tramandati nell’Antologia Palatina sotto il nome di Teocrito, 22 figurano, disposti in ordine metrico nei principali manoscritti degli Idilli. Risulta difficile sceverare quali siano autenticamente teocritei, anche se essi mostrano stile e temi tipici degli idilli, come nei primi 6 della raccolta; ad essi si affiancano epigrammi funebri, dedicatori, dediche a poeti strutturate come epigrafi tombali o di statue. Chiude la raccolta un epigramma autocelebrativo, che con orgoglio rivendica l’originalità del poeta

Poetica di Teocrito

——Teocrito è considerato il meno artificioso e il più spontaneo dei poeti ellenistici. Certo c’è in lui un sentimento più vero e immediato, un amore più genuino per la vita agreste, ma questa spontaneità è a volte solo un’impressione, dovuta alla brevità e leggerezza delle poesie, alla scelta dagli argomenti, alla rappresentazione di un mondo cittadino o borghese, della vita quotidiana vista con realismo, dei sentimenti analizzati soprattutto nelle sfumature, nelle pene e tristezze d’amore. Teocrito è in realtà un poeta dotto e il suo amore per la natura è più riflesso che spontaneo, cioè è nostalgia di un mondo ormai soffocato dalla vita convulsa della città, è un mondo di pastori che ad un tratto abbandonano il linguaggio rozzo e parlano con finezze e citazioni dotte. Tuttavia le descrizioni vaste e serene, il realismo, la vivacità dei caratteri umani, il buon gusto, la raffinatezza e il senso della misura nell’idealizzazione della natura salvano Teocrito dal manierismo e ne fanno un poeta vero. La fortuna di Teocrito fu immensa. Virgilio s’ispirò a lui nella stesura delle Bucoliche; egli infatti riprese da Teocrito soprattutto i contenuti e gli aspetti bucolici, stravolgendone però la forma e la presentazione. Ma troppo spesso gli imitatori caddero nell’artificiosità creando un mondo di damerini travestiti da pastori.

Meleagro e la poesia epigrammatica

—Nel II secolo a.C la poesia ellenistica non conobbe autori di grande rilievo,mentre agli inizi del I secolo a.C,si ebbe una ripresa significativa dei generi.Fra gli scrittori che più influirono sulla poesia neoterica bisogna ricordare Meleagro di Gadara,autore di epigrammi,per lo più amorosi,caratterizzati da un intenso pathos unito a un accentuato preziosismo letterario.Meleagro fu anche autore della Corona,una silloge di epigrammi di 46 poeti,che ebbe molta diffusione nel mondo latino.

Arte

—La costruzione dell’impero di Alessandro fu un avvenimento ricco di significato anche per l’arte greca che, trapiantandosi nelle terre orientali e derivandone alcune caratteristiche figurative, subì delle mutazioni nelle tendenze formali. La committenza delle opere d’arte passò dalle città elleniche ai grandi centri culturali orientali e alle corti dei sovrani, spinti dal desiderio di abbellire le loro capitali, come Pella, Antiochia di Siria, Alessandria e Pergamo. Convenzionalmente si tende a distinguere l’arte ellenistica in tre distinti periodi: primo (323-240 a.C.), medio (240-150 a.C.) e tardo (150 a.C.-31 a.C.) ellenismo. Si sarebbe quindi passati dalle esperienze tardo-classiche del primo ellenismo, ad uno stile con caratteristiche quali il movimento, la grandiosità e la ricerca dell’effetto scenografico del medio ellenismo, fino ad un’arte con tendenze classicistiche del tardo ellenismo.

Prassitele e L’Afrodite Cnidia

—Prassitele è colui che riesce a portare nell’arte i modi di sentire del suo tempo; costui lavorava sia il marmo che il bronzo.

—La sua attività più intensa si colloca tra il 364-363 a.C quando scolpisce l’Afrodite Cnidia, così chiamata perché acquistata dagli abitanti di Cnido; in questa statua viene rappresentata per la prima volta una dea nuda , prima di fare il bagno. La caratteristica principale è che ha un corpo sinuoso cioè a forma di S che mette in risalto tutti gli attributi femminili.

Apollo sauroctonos

—Questa statua risale intorno al 360 a.C e rappresenta il dio Apollo nel tentativo di uccidere una lucertola ; il dio viene ancora rappresentato come un fanciullo , con il corpo che si appoggia al tronco. La sua testa è ruotata verso sinistra e il piede sinistro permette alla gamba sinistra di stare rilassata ; questa statua rappresenta un qualcosa che mai nessuno aveva pensato di rappresentare e cioè un dio che gioca.

Hermes con Dioniso bambino

—La realizzazione delle statue precedenti mette in risalto due caratteristiche diverse e cioè la prima il coinvolgimento dello spettatore che osserva la dea; il secondo invece è un’azione chiusa. Nell’Hermes con Dioniso bambino nasce una nuova condizione per l’osservatore e questa statua rappresenta una parte del mito; Prassitele rappresenta il dio in sosta dal viaggio , mentre si riposa e fa giocare il bambino , forse con un grappolo d’uva. La scelta di rappresentare questi due dei indica la precisa volontà dello scultore di avvicinare gli dei agli esseri umani.

Matematica e meccanica

—Nella matematica e nella geometria il primo posto spetta ad Euclide che con i suoi Elementi sistemò in maniera rigorosa e sistematica il pensiero matematico greco, fornendo un impianto scientifico durato nei secoli. Ricordiamo Archita di Taranto per l’invenzione della vite e la scoperta del medio proporzionale nelle proporzioni. Aristosseno per la prima formulazione matematica delle teorie musicali. Ctesibio per la pneumatica e la pompa ad immersione ancora usata fino agli inizi del ‘900. Altro nome illustre fu Apollonio di Perga, di cui ci sono pervenute le Sezioni coniche nelle quali, fra l’altro, creò i termini parabola e iperbole. Matematico, oltre che ingegnere ed inventore, fu anche Archimede, il più geniale degli autori di prima grandezza nella storia della scienza

Astronomia

—Già in ambito pitagorico vi furono idee eliocentriche tramandate in forma di mito, tuttavia l’astronomia greca fece seri tentativi di uscire dal geocentrismo e dalle sfere omocentriche di Eudosso di Cnido con Eraclide Pontico . Nato ad Eraclea Pontica ma trasferitosi ad Atene, dove fu probabilmente discepolo di Aristotele al Liceo, Eraclide, per spiegare il moto diurno dei cieli, pensò ad un moto della terra intorno al proprio asse da occidente ad oriente; probabilmente ipotizzò il movimento di Venere e di Mercurio intorno al Sole. Nella prima metà del III secolo a.C. Aristarco di Samo teorizzò esplicitamente l’eliocentrismo nella sua forma attuale e successivamente, secondo la testimonianza di Plutarco, Seleuco di Seleucia ne dette anche una dimostrazione.

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Marino D.

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